Segesta Teatro Festival: antichi luoghi, nuove scene Intervista a Claudio Collovà di Renata Savo

È un abbraccio tenero tra il presente e il passato, quello che si stringe sui palcoscenici del Segesta Teatro Festival, nella provincia di Trapani, quest’anno diretto per la prima volta da Claudio Collovà, regista, autore e attore e già direttore delle Orestiadi di Gibellina dal 2009 al 2017. La fusione tra i due mondi lontanissimi nel tempo piega lo sguardo verso un orizzonte sacro, eccezionale, sospeso: ciò che di meglio possa augurarsi chi va in vacanza. Quest’anno, dal 2 agosto al 4 settembre, chi andrà a trascorrere le vacanze in Sicilia, regione naturalmente ricca di bellezze e di cultura, incontrerà nell’area occidentale, grazie a questa nuova veste del Segesta Teatro Festival, un’offerta culturale più aperta ad accogliere il contemporaneo. Le vacanze sono la successione di istanti perfetta per godere della meraviglia, di questa epifania che avviene sul palcoscenico nella terra del mito per antonomasia: perché siamo pronti, finalmente, a sospendere quel legame che oggi ci appare quasi indissolubile, con la stanca quotidianità. Da tenere d’occhio, allora, il calendario di questo grande evento multidisciplinare che, nell’ottica della collaborazione fra parchi archeologici della Sicilia e tra festival e istituzioni culturali, ha fra le novità di questa edizione l’ospitalità del festival Ierofanie di Naxos Taormina e, itinerante, il Festival della Bellezza. Il Parco Archeologico di Segesta fra il Teatro Antico, il Tempio Afrodite Urania e i comuni limitrofi, Calatafimi Segesta, Contessa Entellina, Poggioreale, Salemi e Custonaci saranno i luoghi deputati del vasto programma.
Ad aprire il cartellone è Omu a mari. Il cunto delle sirene di Gaspare Balsamo, passato eccezionalmente, pochi giorni fa, dalla rassegna Frangenti organizzata da Ablativo / declinazioni espressive e diretta da Vincenzo Albano a Cetara (SA), nella Costiera Amalfitana, dove, su una terrazza a picco sul mare, della Torre Vicereale, abbiamo potuto apprezzarne la fluidità melodica e la capacità di modulazione timbrica, in un racconto appassionante che parla di miti e leggende popolari, dentro il quale il mare, le sirene e giovani alle prese con le prime esperienze sessuali si fondono in una lingua siciliana colloquiale, che per un attimo ci ha restituito il calore vibrante e avvolgente dell’indimenticabile Franco Scaldati. Ma sono tantissimi i nomi degli artisti e degli spettacoli: c’è l’acclamato Tiresias di Giorgina Pi, la tragedia Le Supplici di Euripide riletta nella regia di Serena Sinigaglia, La Nona (dal caos/il corpo) della Compagnia Zappalà Danza e Virgilio Sieni, che interpretano la Nona Sinfonia di Beethoven.
Di questa nuova veste del Segesta Teatro Festival, che entra in dialogo con la contemporaneità, abbiamo parlato con il direttore Claudio Collovà.

Cosa contraddistingue la prima edizione del Segesta Teatro Festival, che pure dà spazio a un teatro classico, dagli altri festival che si svolgono nei teatri greci antichi presenti in Sicilia e che tendono a offrire una programmazione di classici antichi?  

Il Segesta Teatro Festival non programma solo spettacoli classici. Sono presenti in minima parte, se con classico si intende la tragedia greca e la commedia romana. Volevo fosse chiaro, fin da questa prima edizione, che la programmazione avrebbe avuto un carattere di reale discontinuità, e quindi non è un caso che tra i molti spettacoli, sono presenti artisti che non lavorano su quel versante. Ho incluso musica classica e danza contemporanea, e preso dei rischi culturali che secondo me è il vero compito dei festival multidisciplinari. Siamo molto felici che il Ministero della Cultura abbia deciso di includere il nostro festival, dando il massimo del punteggio a una programmazione che, partendo dalla sacralità di quel luogo, sia andata oltre questo equivoco che in un teatro di pietra costruito 2500 anni fa si debba solo presentare spettacoli classici. Quel teatro meraviglioso può ospitare diverse espressioni, purché sia alta la qualità, grande il rispetto per quel luogo, onesta e coerente la ricerca degli artisti, e con il carattere della contemporaneità la loro indagine. Ogni festival ha la sua missione e in Sicilia ci sono già tradizioni fortemente radicate, come quella dell’Inda di Siracusa, che da sempre hanno fatto scelte di teatro classico. Nessun confronto con quella macchina perfetta. Noi desideriamo andare anche altrove.

Che tipo di pubblico si aspetta?  

Io spero che il pubblico sia formato da persone con sensibilità diverse. Non credo di avere un programma che possa garantire una categoria ben precisa di spettatori e con una unica età o interesse. Vorrei che si fosse in genere disponibili a entrare dentro un mondo che possa isolare lo sguardo dello spettatore, e che si possa essere attratti da un luogo che, grazie agli artisti, possa portarci altrove, in una dimensione spirituale e in forte connessione con il divino. La natura del parco archeologico di Segesta potrà darci una mano in questo senso. Si entra dentro un mondo a parte, si raggiunge la vetta del monte dove si erge il teatro, con il suo bellissimo orizzonte, e poi, se si vuole si ha come sfondo il Tempio ancora intatto, dove è possibile ascoltare musica suonata dai quartetti d’archi che abbiamo invitato da mezza Europa. Il carattere internazionale è stato cercato anche per stabilire un dialogo con la migliore creatività artistica della Sicilia e alcune tra le migliori espressioni provenienti dall’estero. Ma poiché nessuna forma d’arte che si rispetti, può essere paragonata ad un gelato, non vorrei mai che si dicesse che la programmazione è in grado di soddisfare tutti i gusti. Non è così, soddisfa chi vuole connettersi con l’extra quotidiano e dimenticare almeno per un giorno la realtà opprimente che siamo costretti a vivere, tra guerre e pandemie. Spero che si venga da noi in un modo e si torni modificati, almeno un po’, ma su questo ho molta fiducia sugli spettacoli scelti e sugli artisti ospiti.

C’è qualche pensiero o immagine particolare che ha condizionato, ispirato, la scelta di vedere un determinato spettacolo ambientato in uno spazio piuttosto che in un altro?

Ho passato molto tempo in solitudine in attesa che i luoghi del parco mi suggerissero una direzione. A parte la dimensione dei lavori che vedremo a Segesta, ho deciso di destinare in massima parte la musica al Tempio e il teatro e la danza al Teatro Antico. Ma ci sono eccezioni come il nuovo lavoro di Latini su Venere e Adone o lo straordinario concerto di chiusura con la partecipazione dell’mdi ensemble che eseguirà Infinito Nero di Salvatore Sciarrino. Il Maestro ritorna nella sua Sicilia dopo trenta anni, proprio lui che è il massimo artefice della musica contemporanea nel mondo, suonerà nell’ampiezza e nel silenzio del teatro. Non vedo l’ora di ascoltare la flebilità di quelle note in un contesto così sacro.

Foto di Franziska Strauss

All’interno del vasto programma, quali pensa possano essere gli eventi di punta o quali fra i numerosi spettacoli le dà maggior soddisfazione vedere inseriti nel cartellone? 

Sono molto orgoglioso del concerto di apertura di Anna-Maria Hefele e del suo gruppo, The European Resonance Ensemble con Supersonus. È un concerto che consiglio a tutti di vedere, con grandi interpreti di fama internazionale e una voce, quella della Hefele che davvero può portarci altrove con il suo suono armonico naturale. Poi sono felice della Nona della Compagnia Zappalà Danza, un lavoro davvero imponente, con dodici danzatori, due pianisti e un soprano. Accostarsi alla Nona di Beethoven in un teatro antico è motivo per me di grande attesa. Ma consiglio il Cantico dei Cantici di Roberto Latini, i Concordu di Orosei, i Dervishi rotanti di Damasco, Supplici di Serena Sinigaglia, l’Edipo a Colono con Mamadou Dioumé, Cuticchio con orchestra dal vivo, attori e pupi di grandi dimensioni, Virgilio Sieni con Satiri. Consiglio, inoltre, l’omaggio coreografico di Aurelio Gatti a Pasolini e il lavoro di Teatri Uniti dedicato al poeta con Anna Bonaiuto. Mi rendo conto che amo e consiglio ogni spettacolo, e forse non rispondo alla tua domanda, ma ovviamente ogni artista che ho invitato è stato da me scelto con grande fiducia e conoscenza diretta. Dimentico tanti, ma come hai detto tu il programma copre l’intero arco di un mese e spesso con due spettacoli al giorno.

Che cosa ambisce a diventare, nel tempo, questo festival? 

Il Segesta Teatro Festival è una importante attività del Parco Archeologico di Segesta, felicemente diretto da Luigi Biondo che è molto partecipe delle sorti del festival ed è stato sicuramente un compagno di viaggio molto attivo e sensibile. Stiamo migliorando la parte relativa all’organizzazione e l’impronta del festival è data soprattutto dal gruppo di lavoro, in gran parte diverso rispetto alle edizioni precedenti. Molto ancora deve essere migliorato, ma siamo sulla strada giusta. Molto può essere anche fatto con la collaborazione dei cinque comuni afferenti al parco, e già quest’anno abbiamo costruito – su indicazione del precedente direttore, l’archeologa Rossella Giglio – il festival diffuso. Credo molto alle attività collaterali che già quest’anno abbiamo sviluppato in residenze artistiche, vissute come esperienze e non solo come workshop formativi. Il festival ambisce a creare una comunità di spettatori e non un pubblico generico, ambisce a sviluppare progetti che possano apportare nuove attività e nuove risorse. È un cammino lento, ma che vogliamo perseguire a partire da quest’anno e da questo primo triennio. Alcune conquiste le abbiamo ottenute in poco tempo, ma l’imponente bellezza di quel luogo, merita molto di più e noi non ci tireremo indietro.

Per il programma completo rimandiamo al sito: www.segestateatrofestival.com