La Fortezza di Torpignattara: resistere, sbagliare, rinascere a Roma Est Intervista a E. Turco e a A. Di Somma di Carlo Lei

Foto di Manuela Giusto

La faccia del quadrante Est di Roma è particolare, così piena di dati e memoria da risultare spesso in contraddizione con sé stessa, dalle espressioni schizofreniche. Al di là del pasolinismo affettuoso e un po’ cialtrone che il centenario rinfocola, al di là della movida, c’è la memoria del proprio passato e della Resistenza (Centocelle nel 2018 ha ricevuto la Medaglia d’oro) e c’è insieme l’ombra della gentrificazione, i prezzi degli appartamenti che salgono, e insieme una trascuratezza, un’incuria del bene comune che qui sembra resistere e farsi professione endemica di fede. Ci sono le scuole di trincea, che combattono per l’inclusione, come nella zona di massima concentrazione di immigrati della Marranella, e le associazioni di quartiere (Parco Sangalli) che fanno vivere i giardinetti pubblici ritagliati tra le strade, mentre altri sono latrine, e le discariche della nettezza urbana che tracimano oltre i cancelli, lasciando una scia di frigoriferi abbandonati. A pochi metri di distanza trovi la campagna artificiale del “tulipark” (dove puoi cogliere a un euro al pezzo più biglietto d’ingresso il tuo tulipano dal terreno) e il groviglio di rifiuti e lamiere e persone del campo rom di via dei Gordiani.
Qui sfreccia senza nemmeno bisogno di un conducente la più recente metro inaugurata in città, la “C”, 2014-2015, (in effetti non è proprio ieri) e la più vecchia linea di treni urbani, la Termini-Giardinetti, ex Termini-Fiuggi, 1916. Qui pietre d’inciampo e roghi di librerie, qui due spazi teatrali sulla stessa strada (Centrale Preneste e Hamlet, in via Alberto da Giussano), e ciclofficine a ogni angolo, e il più antico cantiere di cui riesca a ricordare la presenza senza mai avervi scorto qualcuno al lavoro (per il tuttora inesistente “snodo ferroviario Pigneto”). Qui tour guidati ai murales, ex cabine telefoniche divenute discariche, pini malati prossimi all’abbattimento e coraggiosi fuscelli tra le automobili parcheggiate, topi, gabbiani, librerie per bambini da sogno, merde di cani dappertutto, un lago – persino un lago (all’ex-Snia, nato dai lavori per un centro commerciale che hanno intaccato una falda acquifera) dove sostano gli uccelli migratori e le api fanno pazienti il loro miele.

Chiedo a Eleonora Turco e Alessandro Di Somma, creatori e direttori artistici di Fortezza Est, teatro, spazio per laboratori, libreria a Torpignattara: avete scelto voi questo nodo così complesso della città per fare cultura? Cosa vi ha fatto credere che fosse il posto giusto?

Alessandro: Come molte cose della vita, se non tutte, ogni scelta è un insieme infinito di fattori che si allineano e tracciano un po’ il nostro destino, così è stato per noi, siamo entrati al Teatro Studio Uno di Torpignattara più di 15 anni fa per caso, io per uno spettacolo, Eleonora per un provino e abbiamo iniziato a frequentarlo e negli anni abbiamo scoperto un quartiere dalle mille risorse che ci ha accolto e stregato, veniamo da altrettante “periferie”, Quadraro e Colli Aniene.
Eleonora: Abbiamo trovato in questo quadrante un qualcosa di speciale, qualcosa che si avvicinava molto al nostro modo di intendere il vivere insieme e in più un luogo ricco di possibilità per sviluppare le nostre idee e le nostre ambizioni, gestire un centro culturale o un teatro, come col tempo abbiamo fatto, sarebbe stato più complesso e difficile in un quartiere diverso. In più Studio Uno è un posto magico, un luogo del cuore, con tutti i suoi innumerevoli difetti, scese quelle scalette ti ritrovi avvolto da un’energia tutta particolare, ti senti accolto, a tuo agio, un po’ come Torpignattara. Ed è stato questo che ci ha convinti di essere nel posto giusto.

Da quanto ne so, la vostra avventura è iniziata nel 2009 con il Teatro Studio Uno rilevato da Germano Basile, uno spazio storico a forse un chilometro da qui, off in tutto, anche nella topografia labirintica, nelle scale ripidissime, nell’integrazione fisica con le case delle persone, (chissà quanto in un amore corrisposto), le cui finestre davano sul vostro cortile-foyer. Ma mi manca la preistoria: com’è iniziata quell’avventura, come ci siete arrivati, da dove venivate tutti e due, eravate già insieme?

Eleonora: Come accennato ci siamo incontrati per caso, proprio lì a Studio Uno, poi persi di vista e dopo qualche anno ci siamo rincontrati. Alessandro era già nella gestione di alcune attività del Teatro Studio Uno insieme a Marco Zordan, poi col tempo ci siamo innamorati, sono entrata nel gruppo e nel giro di pochi anni lo abbiamo trasformato insieme, progettando una stagione teatrale strutturata, con residenze e ospitalità a compagnie emergenti. L’idea che avevamo nei primi anni era quella di creare una casa accogliente per gli artisti, un luogo caldo dove poter lavorare liberamente e, come diciamo da sempre, uno spazio dove sperimentare anche l’errore. Non è facile per le compagnie di nuova formazione avere questa possibilità, e noi ci siamo posti questo obiettivo, essere uno spazio libero dove sperimentate a 360 gradi.
Alessandro: Poi ci siamo resi conto che il lavoro con gli artisti doveva essere parallelo e andare di pari passo al lavoro sul quartiere. E in questo senso abbiamo lavorato per creare una relazione tra la comunità degli artisti che abitavano il nostro spazio e la comunità di Torpignattara. Crediamo fortemente che il teatro debba essere radicato nella città, nel quartiere dove cresce, altrimenti si rischia di costruire una cattedrale nel deserto con artisti che parlano a sé stessi. L’apertura della libreria sopra il teatro nel 2016 ci ha aiutato proprio in questo senso. Il lavoro sul territorio è comunque un’impresa lunga, è un po’ come coltivare un orto, non puoi smettere mai di curarlo ed innaffiarlo altrimenti tutto il lavoro si vanifica all’istante.

Foto di Manuela Giusto

Fortezza Est nasce/voleva nascere, con drammatica puntualità, in tempi di Covid. Riesce finalmente a dare alla luce le sue prime attività durante le riaperture del 2021, ora la stagione 21/22 è in pieno corso, viva e sempre frequentata. Chi sono gli spettatori che vengono da voi? È gente del quartiere? Rivedete le stesse facce, c’è un pubblico vostro, affezionato, che vi segue regolarmente?

Alessandro: Gli spettatori di questo primo anno a Fortezza Est sono di ogni tipologia, abbiamo un piccolo zoccolo duro di pubblico che è presente ad ogni spettacolo e attività e che abita a pochi passi dal teatro, molti clienti della nostra libreria di quartiere che lo frequentano saltuariamente e molti colleghi e amici che ne sono attratti per la versatilità e la proposta. Come sempre gli spettatori sono attirati anche dalle compagnie in stagione, che hanno un loro seguito, che rappresenta la maggioranza del nostro pubblico.
Eleonora: La posizione di Fortezza Est ci ha offerto e ci offre la possibilità di intercettare anche persone di passaggio. Siamo in un punto di Torpignattara dove c’è molto più transito rispetto a Studio Uno, e questo ci ha permesso di accrescere il nostro pubblico anche in un momento così difficile, in piena pandemia. Crediamo e speriamo di riuscire ad incrementare i nostri spettatori per la prossima stagione e di far incuriosire sempre più chi è ancora diffidente e poco avvezzo al teatro.

La domanda è volutamente ampia, ma forse non vaga: a chi pensate quando preparate una stagione, quali sono gli equilibri che cercate di tenere insieme?

Alessandro: È una domanda molto difficile, pensiamo soprattutto a ciò che piace a noi, a cosa da spettatori vorremmo vedere, sicuramente abbiamo ben chiaro a quale pubblico ci rivolgiamo; quindi, cerchiamo degli spettacoli che possano parlare alle persone su più livelli di comprensione. Ci piacerebbe ospitare dei lavori che abbiano la forza di essere validi e apprezzabili da tutti, soprattutto dai ragazzi, ci impegniamo comunque a creare una stagione con alternative interessanti per tutti i nostri spettatori.

Eleonora: Stiamo per lanciare, finalmente dopo due anni di stop, il nostro bando di selezione per la prossima stagione Pillole #tuttoin12minuti in cui si chiede alle compagnie e ai singoli artisti di presentare la loro proposta in scena con 12 minuti di performance inseriti in una rassegna aperta al pubblico. Gli spettatori sono chiamati a valutare insieme a noi e a una giuria selezionata di addetti ai lavori le proposte che vediamo in scena e che formeranno il nuovo cartellone della nostra stagione che sarà costruito passo passo anche insieme al nostro pubblico.

Secondo la vostra esperienza, è facile a Roma, e specialmente in questo quartiere, far rete con altre realtà culturali? È possibile istituire partnership, relazioni, progetti con realtà solide, magari istituzionali, o la vita di chi fa cultura è sopravvivenza autarchica dura, con i propri mezzi?

Alessandro: Non è facile, purtroppo siamo tutti diversi e con finalità spesso poco comuni. Abbiamo degli spazi con cui collaboriamo e lavoriamo insieme, ma Roma è un maelström di cui spesso si fa a fatica a conoscerne tutti gli ingredienti.

Eleonora: Collaboriamo da diversi anni con realtà del territorio, associazioni e professionisti che condividono con noi la voglia di creare delle sinergie per la crescita culturale della città come “La Città Ideale” e il “Teatro Biblioteca Quarticciolo”. Ci piace interfacciarci con chi fa questo lavoro con passione e professionalità con chi crede nel rischio e nella capacità di sbagliare e ricominciare: sbagliamo e ci rialziamo da 15 anni, ci siamo abituati!