PFM canta De André in un memorabile concerto di Capodanno di Elisabetta Castiglioni

Hanno resistito allo scioglimento decennale del gruppo alla fine degli anni Ottanta per ritrovarsi in armonia a comporre e interpretare panorami sonori di assoluta innovazione musicale; hanno faticosamente elaborato il lutto del loro grande amico Faber con cui girarono in tour negli anni Settanta apprendendo il valore comunicativo del testo sul palco; hanno continuato a mietere successi internazionali confermando, come scrissero due eminenti riviste anglosassoni, “Billboard” e “Classic Rock”, di essere uno dei più importanti gruppi di progressive rock al mondo. E ora, nonostante la pandemia imperante e l’adeguamento a spostamenti e cancellazioni di concerti, sono riusciti a chiudere il tour celebrativo dei 40 anni del sodalizio con Fabrizio De André aprendo il cinquantesimo anniversario dalla loro genesi. Sissignori, la PFM, acronimo di Premiata Forneria Marconi, dopo mezzo secolo di vita coinvolge, emoziona, scatena, condivide con il pubblico – ancora numerosissimo nonostante i tempi – un pezzo importante di musica italiana con le suggestive atmosfere immersive dei suoi inconfondibili e trascinanti suoni d’autore.

Dopo oltre 100 date e più di 130.000 spettatori in tutta Italia – con un tour iniziato nel 2019 che ha registrato il totale sold out in prevendita senza nessuna richiesta di rimborso biglietti nonostante i vari spostamenti causa Covid, il 31 dicembre 2021 la band formata dal frontman Franz Di Cioccio (voce, batteria, percussioni), Patrick Djivas (basso), Lucio Fabbri (violino, tastiera e chitarra), Alessandro Scaglione (tastiera e voce), Marco Sfogli (chitarre), Roberto Gualdi (batteria) e Alberto Bravin (tastiera, chitarra acustica e voce) ha tenuto forse il concerto dell’anno a più alto impatto emotivo nella Sala Santa Cecilia, la più grande dell’Auditorium Parco della Musica di Roma. Un Capodanno unico, che ha ripagato gli appassionati del chilometro di coda al freddo e incredibile nebbia sopraggiunta nella Capitale e soprattutto dalla inquietante situazione di rialzo contagi. Ma organizzazione, preparazione e mascherine FFP2 hanno coccolato la scelta dei quasi tremila spettatori per il godimento di uno spettacolo davvero unico nel suo genere, che non rappresenta solo un tributo ad uno dei nostri più grandi cantautori italiani, ma un atto d’amore e coesione verso la storia della musica italiana da parte di chi ne ha contribuito a creare dei rilevanti capitoli. Una performance tanto più apprezzata per l’energia unita al divertimento dei favolosi sette che hanno trasformato le atmosfere spesso intimiste di Faber in un caleidoscopio di generi e poliedriche situazioni acustiche.
Il concerto, come annuncia Franz Di Cioccio, in pista con la sua inconfondibile bandana, si divide in 4 fasi.  Si comincia con le immancabili Bocca di rosa e La guerra di Piero, dove svettano le sagaci toccate del violino, mentre Andrea si circonda di una chitarra mandolinistica e Un giudice di un synth a fisarmonica che catapulta in pochi attimi la platea in una ritmica coinvolgente e trascinante. Rimini si riempie con la magia acustica di tre chitarre di un’aura mistica e Giugno 73 immerge il suo cripticismo testuale in un dialogo sincronico tra un basso senza tasti, magistralmente suonato da Patrick Djivas, il glockenspiel delicatamente toccato da Di Cioccio e il violino di Fabbri per far girare il brano in un crescendo da giostra francese, appena sfiorata la celeberrima frase «è stato meglio lasciarci che non esserci mai incontrati».

La PFM conobbe De André quando la formazione si chiamava “Quelli” ed era considerata un gruppo beat ma fu alla fine degli anni Settanta, quando si trovarono in tour in Sardegna, nel periodo in cui Faber voleva smetterla e dedicarsi ad una vita da contadino, che si rividero casualmente: proprio dal dietro le quinte di quel concerto si gettarono le basi per il loro significativo tour, primo esempio di fusione della musica d’autore con il prog e dal quale incontro nacquero due album importanti. È commosso, Di Cioccio, mentre racconta il loro incontro in quei camerini, la predisposizione all’ascolto di De André, la sfida di questo a chi gli sconsigliò di tentare l’impresa, in quanto pericolosa, ma fu proprio in quell’istante che gli scenari, per l’uno e per gli altri, cambiarono. È proprio sulla riscrittura musicale in chiave prog de La buona novella, composta in occasione dei 70 anni del cantautore, che si fonda la seconda parte del concerto. Del concept album tratto dalla lettura di alcuni Vangeli Apocrifi, si sono scelti Universo e Terra, L’infanzia di Maria, Il sogno di Maria, Maria nella bottega di un falegname e Il testamento di Tito: capolavori assoluti nelle mani di arrangiatori dal registro e colore assoluto, per un pastiche sonoro che spazia dal folk di tamburelli e maracas a perle acustiche del rock puro, sfociando nella sublime interpretazione alternata a due voci di Di Cioccio e Bravin (apprezzabilissimo il timbro vocale di quest’ultimo che in parte ci rimanda all’amato De André). E, d’incanto, il terzo atto della performance si apre con una nostalgica e suggestiva sorpresa: la voce originale di De André che canta La canzone di Marinella integrandosi amabilmente con i preziosi arrangiamenti suonati dal vivo dalla band. E da Genova sembra di passare poi velocemente al far west, con il country di Zirichiltaggia immerso in una scenografia crepitante di lampi rosso fuoco, e successivamente ai paesaggi simil Irish di Volta la carta che scatena irrimediabilmente il battito pulsante del pubblico in sala, per un attimo dimentico delle costrizioni. E, di lì a poco, arriva Amico fragile, a nostro avviso la più sentita interpretazione della PFM su questo palco – e non a caso il brano più amaro, sentito e sofferto di De André – che riesce con le sue dissonanze e contrasti armonici ad alimentare un trasporto emotivo che esplode nell’assolo (incredibile!) di chitarra di un eccezionale artista come Marco Sfogli.

Ottimo finale prima del brindisi di mezzanotte che vede iniziare il 2022 con due classici di repertorio: Il pescatore – celeberrima questa versione prog che dal 1978 continua a far storia – e Celebration, tarantella tormentone del 1973 contenuta nell’album Photos of ghosts, per pompare verso il gran finale. Immancabile bis con un altro dei capisaldi della PFM: La carrozza di Hans, primo singolo dell’esordio del gruppo. Uno spunto che alimenta il desiderio di rivedere presto dal vivo la PFM, nella speranza che vengano offuscati con le loro note “in presenza” i cattivi ricordi di questo difficile momento storico: «Siamo a conoscenza di molti artisti che hanno preferito fare i concerti digitali, ma PFM ha preferito aspettare, perché il contatto che ha con il pubblico è un rapporto splendido, fatto di DARE e AVERE. La band suona ed emana energia che le viene sempre restituita da un pubblico fantastico. È magia pura. PFM è un gruppo che dà il meglio di sé nei concerti live e suonare in streaming è un po’ come fare l’amore con il preservativo».
Che sia dunque di buon auspicio questa loro affermazione per ritrovarne l’effervescenza e condividere un pezzo della nostra storia: ascoltandoli di nuovo continueremo anche a ricordarci che esiste, per chi la sa sentire e vivere dentro, un ramo della musica italiana che ha fatto davvero il giro dei continenti con straordinario successo e che continua a mietere consensi oltre ogni generazione.