“Diabolik” dei Manetti tiene conto dei gusti del pubblico dei cinecomic? di Carlo Alberto Biazzi

È il 1962 quando Angela e Luciana Giussani inventano il famoso personaggio di Diabolik. Forse ispirato a un vero caso di cronaca nera degli anni Cinquanta (la casa editrice smentisce), in cui un misterioso assassino inviava missive alla polizia firmandosi Diabolich, oppure, come dichiarò una delle Giussani, per accontentare i pendolari che divoravano libri gialli durante i loro viaggi.
Il personaggio di Diabolik è inizialmente un ladro molto spietato, un assassino che riesce quasi sempre a portare a compimento i suoi piani criminali. Fidanzato inizialmente con Elisabeth Gay incontra poi la meravigliosa Eva Kant che diverrà la sua compagna di vita oltre che sua fidatissima complice, derubando senza scrupoli ricche famiglie, banche o altri personaggi arricchitisi a loro volta spesso in maniera illecita. Con i proventi delle rapine si garantiscono una vita agiata. Col tempo il personaggio acquisirà una sua morale e diventa più umano, ma sempre rimanendo un criminale.  Anche la sua spalla, Eva Kant, evolve col tempo e, da amante sottomessa, si rivela una complice indispensabile.
Il primo tentativo cinematografico avvenne nel 1968, firmato dal Maestro Mario Bava, ma come disse il produttore De Laurentiis fu un vero flop. Il film, dalle tinte pop (in voga all’epoca), non soddisfò le attese del pubblico che considerò il personaggio più come uno 007 cattivo.
Ci riprovano i Manetti Bros, con una versione più fedele al fumetto anche per la caratterizzazione dei personaggi e dei luoghi.
Da grande fan del fumetto – fino a pochi anni fa ne divoravo uno a settimana – credo che le considerazioni, dopo aver visto il film, possano essere fondamentalmente due: o il lungometraggio dei Manetti è un capolavoro assoluto, oppure la reazione che si potrebbe avere quando si riaccendono le luci in sala è un po’ quella di Fantozzi dopo la visione de La corazzata Potëmkin.
Tralasciando la seconda opzione, che non avrebbe motivo di riflessione, provo a concentrarmi sulla prima.
La storia della pellicola riprende quella del terzo capitolo dei fumetti L’arresto di Diabolik, in cui fa il suo ingresso Eva Kant.
In Diabolik si respira un amore puro nei confronti delle tavole originali (le prime), così come per le atmosfere che già nel 1962 affascinarono e stupirono il pubblico italiano.
Più che un racconto delle origini di Diabolik, il film dei Manetti narra soprattutto la genesi di Eva Kant, una straordinaria e seducente Miriam Leone.

Studiando a fondo il materiale d’origine, i Manetti introducono all’universo narrativo del celebre ladro italiano dando vita ad una Clerville d’altri tempi, con location studiate nei minimi particolari, senza rinunciare alla cura del dettaglio. Un lavoro scenico che sfrutta svariati luoghi del Nord Italia, tra cui Milano e Bologna, per plasmare l’ambientazione fittizia che da sempre fa da palcoscenico alle malefatte di Diabolik.
I Manetti Bros non rinunciano comunque a raccontare un cinema di genere: stavolta, però, i registi scelgono di percorrere una narrazione classica piuttosto noir, che comunque rimane vagamente inedita per l’attuale panorama dell’intrattenimento italiano. È una storia che si prende i suoi tempi, in cui il ritmo delle vicende diventa un po’ troppo lungo e i dialoghi impostati e poco credibili.
I registi, poi, hanno potuto contare sulla partecipazione di grandi attori, come Luca Marinelli nel ruolo del Re del terrore. Ecco, qua un piccolo appunto: essere grandi attori non significa essere in grado di interpretare qualsiasi ruolo. Il Diabolik di Marinelli talvolta diventa monocorde e flemmatico.
Scrivere film sui fumetti credo sia una delle cose più difficili in assoluto. Accontentare la visione di chiunque è un’impresa quasi impossibile. L’approccio a questo film, per gli appassionati del fumetto, deve essere un approccio distaccato. Già dalle prime immagini (un inseguimento tipicamente anni Settanta, ma con meno pathos), lo spettatore rischia di cadere nel baratro della delusione che potrebbe accompagnarlo fino alla fine del film.
Bella la scena dell’incontro tra Diabolik e la Kant, intrigante la frase dell’ispettore Ginko quando dice che Diabolik è un uomo con capacità straordinarie. Il problema è che se una persona è affezionata al fumetto, ben presto si rende conto che nella pellicola il Re del terrore non dimostra mai di essere davvero straordinario.