Mettilo in cucina Maradona così ti viene voglia di mangiare di Carolina Germini

Due operai e un muro da costruire. L’inevitabile fatica e la pigrizia che prende il sopravvento. Un lavoro che deve essere terminato al più presto e nel completo silenzio di un teatro. È questa l’intuizione e l’originale trama della drammaturgia dell’opera Muratori di Edoardo Erba con la regia di Peppe Miale. Dopo sedici stagioni in cui lo spettacolo è andato in scena in romanesco, quest’anno ha debuttato al Campania Teatro Festival in una nuova versione in napoletano, che contribuisce a rendere l’esperienza ancora più viva e autentica. Da subito cogliamo le differenze tra i due uomini in scena, Fiore e Germano: l’uno è alto, muscoloso, marmoreo nel fisico e nel carattere. La sua volontà è solida come i blocchi che si appresta ad allineare sul pavimento. L’altro invece è pigro, è lì solo perché l’altro ce lo ha trascinato, fosse per lui il muro non si finirebbe mai. Non sa nemmeno bene perché ci è arrivato in quel teatro ma si lascia convincere dall’amico, che in materia di affari sembra più esperto di lui.
A guardarli ricordano George e Lennie, i protagonisti del romanzo Uomini e topi di John Steinbeck, braccianti stagionali che si guadagnano da vivere vagando per il paese di fattoria in fattoria, condividendo il sogno di comprarsi un giorno un pezzo di terra dove poter finalmente vivere tranquilli. Anche Fiore e Germano sperano di poter aprire un’attività tutta loro ed essere liberi. I topi del romanzo di Steinbeck tornano anche qui ma mentre Lennie, affetto da un ritardo e non sapendo regolare la sua forza, ne uccideva diversi stringendoli troppo forte, in Muratori è Fiore a ucciderli volontariamente per non sentire più il loro squittio. I topi però in entrambe le opere sono la metafora dell’esistenza dei protagonisti, del loro modo di vivere al margine, di essere schiacciati dai più forti. A Fiore non resta che uccidere i topi per non essere ucciso a sua volta da un mondo che lo taglia fuori. A Gennaro invece quegli esseri striscianti fanno schifo e ogni volta che l’amico gli si avvicina con un topo morto tra le mani, salta in aria.

 

Foto di Anna Camerlingo

Nonostante la fretta di finire il lavoro in giornata, Gennaro e Fiore sembrano immobili come Estragone e Vladimiro in Aspettando Godot, fissati a terra come l’albero che nell’opera di Beckett domina la scena. A questo realismo iniziale si sovrappone una dimensione onirica. A Gennaro infatti appare una donna, che scopriremo più avanti essere l’anima di un’attrice rimasta prigioniera del teatro. Fiore non vuole credere a questa storia assurda e pensa che l’amico abbia soltanto sognato, finché sarà lui stesso a doversi ricredere, vivendo la stessa esperienza.

Foto di Anna Camerlingo

Ci lasciamo alle spalle il muro costruito per poi essere buttato giù, nel Cortile della Reggia di Capodimonte, per assistere il giorno successivo a Ho visto Maradona, spettacolo che nasce da un’idea di Daniel Pennac e che è stato diretto da Clara Bauer. Pennac ha fatto un sogno: trovarsi in una sala operatoria dove Diego Maradona deve subire un intervento al cervello. Uno stuolo di medici, come ne Il gioco dell’epidemia di Ionesco, si affretta a fare la diagnosi. Pennac stesso, al centro del palco, racconta la storia che lo ha portato fin lì, descrivendo lo stupore che ha provato quando ha assistito alle reazioni della gente dopo aver appreso la notizia della sua morte. Chi era Maradona? E come si spiega l’effetto Maradona?

Foto di Salvatore Pastore

Attraverso uno spettacolo corale, Clara Bauer dà vita a diversi personaggi, che hanno vissuto e alimentato il mito del più grande giocatore di tutti i tempi. Lo spettacolo, fortemente evocativo, poetico, e nato dal desiderio di omaggiare una figura leggendaria, non riesce però a raccontarla nella sua essenza e potenza. Maradona rimane sullo sfondo, di lui vediamo soltanto una caricatura. Anche il ragazzo con la maglia numero 10 che lo interpreta, pur ricordando molto Maradona da giovane, non emerge, rimanendo una delle tante figure che si agitano sul palco.
A farci vivere l’emozione che lo spettacolo vorrebbe suscitare, riescono i rumori della città di Napoli, immersa nella finale degli Europei, con il fiato sospeso nell’attesa di un goal. Quella presenza incombente sembra dirci qualcosa: non è possibile parlare di Maradona senza parlare di Napoli, non è possibile cercare di afferrare la straordinarietà di un miracolo calcistico attraverso la razionalità. L’ho capito definitivamente il giorno dopo quando, attraversando il ponte di Castel dell’Ovo, mi sono fermata a guardare un quadretto di Maradona e il venditore per incoraggiarmi a comprarlo, mi ha detto: «Mettilo in cucina Maradona così ti viene voglia di mangiare». Ecco, ho pensato, soltanto così si può raccontare un miracolo.

Muratori

di Edoardo Erba
regia Peppe Miale
con Massimo De Matteo, Francesco Procopio, Angela De Matteo.

Campania Teatro Festival, Capodimonte, Cortile della Reggia, Napoli, dal 10 all’11 luglio 2021.

Ho visto Maradona 

di Daniel Pennac
regia Clara Bauer
con Gennaro Cassini, Habib Dembelé, Jesus Dupaux, Greta Esposito, Francesca Fedeli, Peppe Fonzo, Lisi Estarás, Irene Grasso, Pako Ioffredo, Demi Licata, Gaetano Lucido, Daniel Pennac, Giorgio Pinto, Fabio Rossi, Ximo Solano, Giuseppe Supino.

Campania Teatro Festival, Capodimonte, Giardino Paesaggistico Pastorale, Napoli, 11 luglio 2021.