“Si alza il vento”: l’incanto dei mondi di Miyazaki di Carolina Germini

Chi non ha mai sognato almeno una volta nella vita, guardando un film di Miyazaki, di entrare nello Studio Ghibli? Il luogo in cui hanno preso vita e forma le opere di un artista che ha segnato la storia dell’animazione. Il fascino delle sue creazioni risiede nella filosofia che le ha ispirate. È questa l’idea del libro I mondi di Miyazaki, pubblicato da Mimesis Edizioni: una raccolta di saggi a cura di Matteo Boscarol. Nel 2013 il regista giapponese organizzò a Tokyo una conferenza stampa per annunciare il suo ritiro dalle scene. Sembrava la fine di un’era. Ma fortunatamente quell’annuncio con il tempo è stato smentito. Miyazaki infatti negli anni successivi è tornato a lavoro con un nuovo cortometraggio nonché sua prima animazione in computer graphic: Boro il bruco, visibile dal 2018 soltanto all’interno del Museo dello Studio, nel piccolissimo Teatro Saturno.

Nei saggi che compongono la raccolta I mondi di Miyazaki, l’attenzione si concentra soprattutto sull’opera Si alza il vento (2013), ultimo lungometraggio dell’artista giapponese. La maggior parte degli autori infatti individua in questo lavoro la sintesi perfetta delle sue animazioni precedenti. Come osserva Marcello Ghilardi, questo film appare come «una condensazione della sua poetica incentrata sul librarsi del vento». La presenza invisibile di questo elemento naturale e al contempo la sua efficacia ci raccontano molto bene il suo percorso cinematografico. Il film è ispirato alla storia di Jirō Horikoshi, ingegnere che durante il secondo conflitto mondiale progettò numerosi aerei da combattimento utilizzati dai giapponesi nelle azioni di guerra contro gli americani, tra i quali il Mitsubishi A6M “Zero”, utilizzato nell’attacco di Pearl Harbor. Sempre Ghilardi individua nel vento un’altra forma di espressione della parola giapponese ki ovvero il soffio, l’atmosfera che anima tutte le cose. Con il protagonista del film, Miyazaki ha più di un elemento in comune: come Jirō anche lui sognava fin da bambino di fare l’aviatore, ma ha dovuto rinunciare a causa di una miopia; e proprio come Jirō ha superato questo limite, dedicandosi ad altri grandi progetti.

Pur essendo una pellicola più realistica rispetto ad altre di Miyazaki, Si alza il vento conserva comunque una dimensione onirica. È nel sogno infatti che Jirō incontra l’ingegnere italiano Giovanni Battista Caproni. Come osserva Alberto Brodesco, questo non è il primo tributo di Miyazaki al genio italiano, già presente nel nome della sua casa di produzione, che deriva dall’aeroplano Caproni Ca. 309 Ghibli e in Porco rosso (Kurenai no buta, 1992). In Si alza il vento Caproni descrive a Jirō l’aviazione come un grande sogno dell’umanità purtroppo destinato ad essere sfruttato a fini bellici. L’ingegnere comunque esorta il giovane ragazzo a non arrendersi e a continuare a coltivare i suoi sogni, al di là delle avversità. La sua filosofia trova la sua espressione nel verso del poeta Paul Valéry: Le vent se lève, il faut tenter de vivre, citazione che Miyazaki inserisce all’inizio del film.

Il vento è l’elemento comune a tutti i saggi raccolti nel libro, metafora dello spirito che da sempre anima i lavori di Miyazaki, artista che attraverso le sue animazioni ha saputo dare forma ai sogni. L’analisi di Marco Bellano si fonda su un preciso presupposto: nell’intenzione di Miyazaki Si alza il vento nasce per essere opera conclusiva e di ricapitolazione artistica. Nel valutarla, spiega l’autore, non è possibile quindi prescindere da questa consapevolezza. Il lungometraggio esprime una caratteristica di questo artista: la sua coerenza stilistica, espressa da una serie di character design ricorrenti: giovani eroine dal carattere forte, interesse per ambientazioni fantastiche, paesaggi europei rivisitati come scenari esotici e, soprattutto, scrive Bellano, il volo come tema narrativo.

La sua analisi si estende alla musica, soffermandosi sulle melodie del compositore Hisaishi Joe, che con il regista collabora dal 1984. In particolare, Bellano mette in luce come molti brani di Hisaishi abbiano una costante melodica o siano costruiti attorno ad essa: un motivo di quattro note discendenti. Questa melodia è spesso associata alle scene in cui vediamo un volo – movimento di discesa capace di offrire a chi lo vive una nuova prospettiva sul mondo. Ne è un esempio formidabile il volo di Haku e Chihiro ne La città incantata (2001). Questa è sola una delle tante suggestioni che incontriamo in questa raccolta, capace di restituire la complessità e l’originalità di un autore, la cui ricchezza di pensiero continua a offrirsi continuamente a nuove interpretazioni.

Matteo Boscarol (a cura di), I mondi di Miyazaki. Percorsi filosofici negli universi dell’artista giapponese, Mimesis Edizioni, Milano, 2018, pp. 164, euro 15, 00.