Il pensiero analogico di SIE7E di Enrico Piergiacomi

Ci sono in generale due modi per riempire costruttivamente il tempo sospeso, ossia il periodo in cui l’azione o la creazione diretta è inattuabile: studiare e immaginare. Entrambe sono attività contemplative e di apertura verso l’ignoto. Lo studio è legato al metodo e all’indagine posata, l’immaginazione è connessa al piano poetico e formale. La compagnia Instabili Vaganti di Bologna con la loro terza web serie SIE7E tenta una modalità ibrida, in collaborazione con il collettivo artistico spagnolo Cross Border Project. I due gruppi propongono degli esperimenti digitali performativi che stimolano l’immaginazione per favorire lo studio.
SIE7E ha infatti un obiettivo ambizioso: esplorare le differenti arti umane per capire che cosa le accomuna, dunque per estensione quale sia l’essenza condivisa tra discipline in apparenza agli antipodi. La web serie è a sua volta un piccolo tassello del più grande progetto Beyond Borders, al cui interno collaborano artisti e studiosi che desiderano comprendere che cosa significhi “limite”, perché esiste, come si fa a spingerlo oltre o persino a trascenderlo. È anche uno spazio interculturale. Lo dimostra il semplice fatto che qui Italia e Spagna si trovino a lavorare insieme per realizzare dei video in cui lo spagnolo si mescola all’italiano, nonché dove due stili / tradizioni estetiche entrano in relazione. Infine, SIE7E è la terza web serie prodotta da Instabili Vaganti, in collaborazione con un collettivo straniero. Prima c’è stato 8 e ½ Theatre Clips, che riflette su come il tempo e i rapporti sono stati trasformati dal COVID-19 insieme all’artista iraniano Danial Kheirkhah, poi è stato il turno di Video Dante, originale trasposizione dell’universo dantesco tra Indonesia e India. Seguirà The new silk road, che compie un nuovo affondo sulla pandemia, ripercorrendo i luoghi della Cina in cui quest’ultima è scoppiata e verificando quali trasformazioni hanno subìto.

Elena Copelli. Foto di Gloria Chillotti

Finora SIE7E ha realizzato tre interventi: architettura, danza, arte visiva. Come si accennava all’inizio, ogni esperimento ha una forte base immaginativa. Il metodo è del resto sempre il medesimo: si sceglie l’arte su cui focalizzarsi e si tenta di comprenderne l’essenza a partire da un dettaglio in apparenza bizzarro, ma che si rivela poetico e decisivo per aprire piste di ricerche razionali. Siamo allora ben distanti dal proverbiale conflitto tra pensiero e poesia, ragione e sentimento. L’immaginazione apre una breccia su un argomento controverso che l’intelletto provvederà ad approfondire.
“Architettura” non parla direttamente di quest’arte, bensì della mente dell’architetto, paragonata a quella di un fanciullo che vede quello che ancora non esiste. Ciò solleva un paradosso stimolante. Il capriccio di un bambino crea strutture geometriche e destinate a durare a lungo. L’architettura è allora un caos ordinato, un gioco che produce qualcosa di serio. In che modo questi opposti trovano un’unità non viene spiegato dall’immaginazione, ma potrà farlo la ragione che li indaga con cura.
“Danza” è una riflessione sul corpo danzante, che è qualificata come una casa. Si suggerisce che membra, muscoli, tendini, ossa, cellule sono un enorme edificio in cui si può trovare di tutto e dove possono aver luogo attività a volte contraddittorie. Dopo tutto, il corpo è sia un posto quieto in cui ci si può ritirare per meditare, ad esempio quando ci si sdraia a terra e ci si concentra sul proprio respiro, sia uno spazio di inquietudine, perché basta una musica o una sollecitazione esterna per attivare un ritmo. Se poi è davvero una casa, forse il corpo è anche il veicolo per una dimostrazione fisica dell’immortalità dell’io. Del resto, se un’abitazione lasciata in disuso sarà presa da altri, lo stesso potrebbe accadere alle mie spoglie corporee dopo la mia morte. L’analogia immaginifica con la casa apre insomma alla pista di studio razionale che l’io potrebbe essere più profondo del nostro corpo mortale. L’identità è inafferrabile. Si appura però anche che il nostro corpo è un “puro neutro”, capace di grande concentrazione e di immane movimento.

Elena Copelli. Foto di Gloria Chillotti

Abbiamo infine “Arti Visive”, che stavolta in realtà racconta un mito delle origini. La pittura nacque perché l’artista voleva liberarsi dalla malinconia e rappresentare il modo in cui vedeva/sentiva la realtà naturale. Sappiamo insomma che cosa è l’arte visiva in raffronto alle visioni di qualcuno, in altri termini attraverso dei tramiti visibili. La ragione comprende così che la pittura è l’arte in cui l’occhio vede se stesso riflesso nelle personalissime visioni degli artisti sulla realtà esterna.
Si può insomma vedere che l’immaginazione di SIE7E è madre di alcune analogie. Le arti non possono essere studiate e comprese direttamente. C’è bisogno di guardarle di scorcio, di lavorare su alcuni tramiti fisici che sono più nitidi in sé: la mente dell’architetto, il corpo, lo stato d’animo dell’artista. Ogni arte è un abisso per la ragione, ma l’immaginazione consente di aprire una via per orientarsi nel mistero e sperare un giorno di riuscire a dipanarlo. Questo insomma è il merito principale della web serie di Instabili Vaganti e Cross Border Project: aver scovato un pensiero analogico, che permette di immaginare con entusiasmo e insieme di studiare con metodo. Il percorso di indagine rimane per il resto molto lungo, forse inesauribile.