Alla ricerca di Nino Manfredi, una biografia di Sergio Roca

Credo di aver visto Manfredi, a teatro, unicamente in una delle sue ultime imprese, a metà degli anni Novanta, ma l’ho sempre ammirato in alcuni dei suoi film (L’audace colpo dei soliti ignoti, Operazione San Gennaro, Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? Solo per citarne alcuni fra i più noti).
Il ricordo più bello del grande artista, però, lo ho perché si ricollega alla mia infanzia quando passavo ore ad ascoltare una serie di dischi a 45 giri, acquistati da mio padre poco dopo la mia nascita, con l’incisione delle canzoni della primissima edizione di Rugantino in cui era affiancato dalla stupenda Lea Massari. Sono stato molto contento, perciò, di vedere che nel centenario della sua nascita alcuni scrittori abbiano deciso di omaggiarlo con la realizzazione di vari volumi bibliografici. A tal fine segnalo, in primis, il lavoro del di lui figlio, Luca Manfredi, edito da Rai Libri, dal titolo Un friccico ner core. I 100 volti di mio padre Nino e poi quello di Aldo Bernardini, realizzato per Gremese: Nino Manfredi. La vita, la carriera artistica, le critiche e le foto di tutti i suoi film. Tuttavia, dopo un’attenta serie di considerazioni (non qualitative ma derivanti da curiosità personale), ho deciso di soffermarmi sulla lettura del volume di Andrea Ciaffaroni, realizzato per le edizioni Sagoma, Alla ricerca di Nino Manfredi, una biografia (Sagoma Editore, Vimercate, 2021. Volume scritto col contributo di Carlo Amatetti prefazione di Alberto Anile, postafazione di Alberto Crespi). Il testo estremamente corposo è anche arricchito da numerose e interessanti illustrazioni. Piacevole alla lettura e curato nella stesura, risulta (come dichiarato nel sottotitolo) una completa biografia dell’attività del Nostro dalle origini fino alla scomparsa avvenuta nel 2004.
Nel leggere il volume non si può non restare colpiti dalla dovizia di dettagli e particolari forniti dall’autore assieme a un accurato richiamo alle fonti. Una siffatta elaborazione premia lo scritto di Ciaffaroni rendendo la corposa e puntuale ricerca simile, per strutturata e cura, a una tesi di dottorato resa gradevole da un linguaggio semplice e sciolto che conferisce una notevole fluidità di lettura permettendo, così, la fruizione del testo a chiunque voglia approfondire la conoscenza dell’attività artistica di Manfredi.
Moltissimi gli spunti di riflessione a disposizione del lettore, in particolare per ciò che riguarda il Manfredi attore di cinema ma anche, cosa forse meno nota ai più (me compreso), di autore e regista.
Scopriamo così la sua figura di uomo testardo, puntiglioso nel suo lavoro (a volta contro i suoi stessi interessi), ma anche schietto, generoso e, nell’ultimo periodo della sua vita, anche estremamente fragile.
Un artista a tutto tondo che seppur dotato di naturale sensibilità scenica, grazie allo studio del dettaglio e del particolare riusciva a rendere credibili e godibili anche dei personaggi astrusi e lontani dal suo essere. Le indiscusse qualità mimiche, poi, erano così eccezionali da richiamare spesso alla memoria quelle di Chaplin ai tempi dei film muti.
Il grosso pubblico cominciò ad apprezzare Manfredi quando, in televisione, all’inizio degli anni Sessanta, partecipò, insieme a Delia Scala e a Paolo Panelli alla seconda edizione di Canzonissima dove costruì, sulla sua persona, la figura di Bastiano. Era un barista burino e stralunato, che sognava di vincere un premio alla lotteria Italia (cui la trasmissione era abbinata). Il personaggio, tra l’altro, ha reso popolare una frase, usata a volta ancor oggi, divenuta eredità “storica” del tempo. Chi non ha mai ascoltato il detto: «Fusse che fusse la vorta bbona» pronunciato per indicare una possibile opportunità derivante da un inatteso, ma auspicato, colpo di fortuna?
Manfredi, ovviamente, è stato molto di più di questa “macchietta” televisiva ma, come spesso accade, nel momento in cui il pubblico si affeziona ad un personaggio l’“economia”del grande schermo tende a fagocitare, a imbrigliare, l’attore in uno stereotipo ripetitivo (almeno finché il personaggio “vende”). Non a caso molte delle proposte cinematografiche offertegli, negli anni successivi, erano delle commediole povere di contenuti ma, per fortuna, Manfredi non fu così sciocco da legarsi esclusivamente alle necessità di cassetta. Qui, però mi fermo, perché lascerei ai possibili lettori del testo di Ciaffaroni il gusto di scoprire i tanti risvolti dell’uomo e dell’attore ciociaro.
Prima di concludere questa breve recensione, tuttavia, vorrei riportare, testualmente, alcune righe che mi hanno particolarmente colpito e che sono, a mio giudizio, quelle più “pregnanti” e che riportano al “minimo comun denominatore artistico” il modo di stare sul palco di Manfredi
Si tratta della dichiarazione fatta da Paolo Sassanelli in merito a ciò che accadeva durante le recite di Viva gli sposi commedia andata in scena nel 1989: «Nino era incredibile, stava sempre sul pezzo, era sempre presente. Quando eravamo sul palcoscenico e lui si girava, con le spalle al pubblico, alzava lo sguardo per dirci “ok, sta andando tutto bene”, bastava una sua occhiata per motivarci o tranquillizzarci, una cosa che faceva spesso ed era incredibile, perché entrava e usciva dal personaggio in un attimo. Era divertente stare sul palcoscenico con lui, vedere come costruiva le cose, era diciamo un attore all’americana. In una delle ultime scene, quando piangeva, si girava verso Marit (Marit Nissen attrice conosciuta in scena e poi divenuta moglie di Paolo Sassanelli. n.d.r.) e le mormorava: “se le fai così avrai l’applauso”, poi tornava a guardare il pubblico piangendo … ».

Nino Manfredi a Broadway durante la tournée di “Rugantino”.