PROFESSIONI DEL TEATRO > Intervista a Michele La Ginestra – Direttore artistico di Sergio Roca

Michele La Ginestra

Questo primo incontro di Professioni del Teatro del 2021 è dedicato alla figura del direttore artistico. È una intervista anomala confrontata con quelle fatte fino a ora. Più che concentrarsi sulle mansioni di un direttore artistico e come si può ambire a ricoprire questo ruolo è sembrato più utile, in questo periodo storico, dedicare parte dell’incontro su ciò che sta accadendo al mondo del teatro italiano a causa del Covid19.
L’ospite con cui ho avuto il piacere di confrontarmi è Michele La Ginestra, noto al pubblico come bravissimo attore e, principalmente nella capitale, anche come soggetto molto impegnato nel sociale nonché come direttore artistico di due spazi teatrali.   

Salve Michele, chiederti un breve curriculum di presentazione può sembrare inutile. Molti ti conoscono, sicuramente, come attore teatrale e televisivo. Rimarchevole la tua interpretazione di Rugantino nel 2000 e proprio su questo avevamo in programma una intervista per la ripresa di questo spettacolo previsto per la scorsa primavera, ma il Covid-19 ne ha impedito la messa in scena al Sistina. Questo spazio, però, è dedicato alla tua attività imprenditoriale e artistica al Teatro 7 e al nuovo spazio Teatro 7 off. Ci parli di questa tua esperienza e di come è iniziata l’avventura di proprietario e direttore artistico di questi due spazi teatrali romani?

Il Teatro 7 è nato 24 anni fa quando abbiamo deciso di ristrutturare quello che era il salone parrocchiale dove, con dei ragazzi, facevamo varie attività tra cui il teatro. Il parroco, Padre Giuliano, accolse la nostra richiesta di realizzare un ambiente dove accogliere questi giovani, ai quali dedicavamo del tempo nell’ambito di una associazione di volontariato. Grazie agli spettacoli che portavo in giro per i teatri romani avevamo messo dei soldi da parte e proposi, quindi, al fine di evitare di pagare l’affitto per spazi esterni, di realizzare una struttura autonoma dalla quale avremmo potuto ricavare anche qualcosa per le nostre attività. Io, all’epoca, facevo un altro lavoro e ciò mi consentiva di non aver necessità di riscuotere i compensi che avrei potuto incassare con quegli spettacoli. Li lasciavo, quindi, nelle casse di questa associazione di volontariato. Con in soldi messi da parte, lentamente, ristrutturammo il salone parrocchiale. Il parroco aveva creduto in noi perché aveva compreso che attraverso il teatro si potevano raggiungere tanti ragazzi ed educarli non solo artisticamente ma anche umanamente perché il teatro riesce a farti conoscere meglio le tue potenzialità espressive, riesce a farti entrare in relazione con gli altri, riesce a farti concepire e costruire un progetto comune proprio come uno spettacolo teatrale.
L’impegno iniziale fu che tutti gli incassi degli spettacoli sarebbero dovuti servire a progetto. Quindi, pian piano, abbiamo reinvestito in questa idea. Appena possibile, ad attività avviata, ho chiamato tutti gli amici artisti che conoscevo all’epoca e realizzammo una prima programmazione, così è partito il Teatro 7. Se mi giro indietro e guardo quello che abbiamo fatto, mi accorgo che non ci siamo mai fermati.
Forte di questa esperienza abbiamo deciso di intraprendere una seconda avventura quella del Teatro 7 off, in una zona di Roma, Monte Sacro, che non ha teatri e perciò abbiamo pensato che quello avrebbe potuto essere “terreno fertile” per un nuovo luogo di aggregazione. L’idea era, ed è, quella di offrire ulteriori posti di lavoro. Noi al Teatro 7 abbiamo assunto, a tempo indeterminato, dieci dipendenti… Oltre ai docenti dei laboratori teatrali! Abbiamo considerato, perciò che una struttura del genere potesse essere esportata anche al di fuori e che questa nuova avventura potesse essere un progetto lungimirante.

In questo momento (o almeno fino al 15 gennaio), in cui i teatri sono chiusi a seguito della pandemia, ovviamente, le difficoltà economiche (e non solo) che mettono sotto pressione coloro che gestiscono una attività come questa sono decisamente molto alte. Come vi state “difendendo” e organizzando per resistere, probabilmente, ancora per qualche mese?

Purtroppo, non penso che il mondo del teatro ripartirà il 15 gennaio. Io avevo programmato, prima dell’estate, la riapertura del Teatro 7, con gli spettacoli da cartellone, dal primo gennaio 2021 ma, secondo me, slitterà, se siamo fortunati, a marzo. La difficoltà maggiore sarà convincere le persone ad uscire di casa e a ritornare a frequentare un ambiente chiuso – ma aperto al pubblico; nonostante i teatri siano sottoposti ad una regolamentazione severa per garantire la sicurezza degli spettatori.
Noi, al Teatro 7, offriamo garanzie eccezionali: potremmo far entrare la metà degli spettatori, con gli adeguati distanziamenti e l’uso di paratie. In più abbiamo un ozonizzatore che sanifica l’ambiente, prima dell’ingresso del pubblico; da ultimo, disponiamo anche di una lampada UV che, applicata all’impianto di condizionamento, purifica l’aria immessa. Sono tutte spese cha abbiamo affrontato per garantire l’igienizzazione dell’ambiente per quando il teatro tornerà ad essere riaperto al pubblico!
Per adesso stiamo continuando a mantenere i nostri laboratori teatrali, anche se molti allievi hanno avuto paura, riducendo i gruppi nella misura del 30-40%. Questo, comunque, ci consente di sentirci vivi e, soprattutto, di far lavorare i docenti dei laboratori ed il personale di segreteria, senza essere costretti a mantenere tutti in cassa integrazione. Certo non è facile questa stagione teatrale 2020/21; penso che tutti gli spettacoli slitteranno nel periodo estivo, ma è la mia sensazione.

Michele La Ginestra. Foto ADR (ADR photo.it).

Recentemente, proprio in piena crisi del settore, col Teatro 7 avete acquisito un nuovo spazio. Come è stato possibile dar corso a tale iniziativa proprio in questo difficile momento?

In realtà potevamo tirarci indietro. Abbiamo preso i contatti con la struttura prima del lockdown ma il contratto l’abbiamo firmato quando oramai si sapeva della pandemia. Abbiamo comunque pensato che prima che un teatro si “avvii” ci vuole del tempo. È necessario fare dei lavori, chiedere i permessi. Occorre che la gente cominci a conoscere lo spazio – sapere che c’è un teatro – che cominci a frequentarlo. In genere i laboratori possono essere un volano per far conoscere la nuova attività e ho pensato: «per ora iniziamo così». A dire il vero non avrei mai creduto, al momento dell’avvio, che questa situazione si sarebbe protratta così tanto. Pensavo che il teatro, a novembre, avrebbe potuto aprire i battenti. Nonostante le difficoltà, comunque, ritengo che inaugurare, adesso, un teatro sia un forte messaggio di speranza, soprattutto ai lavoratori dello spettacolo, non solo per il pubblico, come dire: “il teatro non è morto”. Certo è un grande sacrificio, economicamente stiamo raschiando il fondo del barile delle nostre finanze. Col Teatro 7 siamo fermi da marzo e, senza incassi, questa spesa ce la saremmo potuta risparmiare ma già il fatto che si sia potuto spostare qualcuno dei dipendenti dal Teatro 7 al Teatro 7 off, per garantirgli uno stipendio, la sopravvivenza, secondo me è un bel risultato. Spero che si riesca a crescere. Debbo dire che la risposta che abbiamo avuto per i laboratori teatrali, al Teatro 7 off, mi lascia ben sperare. Il quartiere ha reagito in modo straordinario; se non ci fosse stato questo problema della chiusura, con gli orari limitati e le varie difficoltà, avremmo avuto un numero di iscritti e di laboratori impressionante per essere un primo anno di attività. Perciò sono molto contento e sono convinto che ci darà grosse soddisfazioni.

Michele La Ginestra. Foto di Stefano Strani.

Attualmente tra le (poche) soluzioni “alternative” per salvare, almeno in parte, l’economia del settore si è diffuso il teatro in streaming. Quale è la tua opinione al riguardo e cosa pensi del progetto, presentato i primi di dicembre 2020, dal Ministro Franceschini su una possibile rete video a pagamento della cultura (Netflix della cultura)?

La mia opinione è no, sono completamente in disaccordo, il teatro in streaming non può funzionare. Il teatro deve essere fatto in teatro, in rari casi può essere trasmesso in televisione ma solo se è stato registrato con il pubblico in sala e, soprattutto, non si deve pagare per vederlo. Noi abbiamo, avevamo, una trasmissione dedicata sulla tv di stato, si chiamava Palcoscenico. Andava in onda su Rai2, poi fu spostata su Rai3 e ancora su Rai5, dove oggi, ogni tanto, vengono trasmessi spettacoli teatrali.
Uno spettacolo teatrale ha bisogno della sua atmosfera. Se stai a casa, solo per il semplice fatto che tu possa alzarti per andare a bere un bicchiere d’acqua o che qualcuno possa chiamarti, è facile distrarsi. Uno spettacolo ha bisogno di essere vissuto dall’inizio alla fine come fosse un unico respiro. Devi essere coinvolto, devi entrarci dentro… quindi, in tv, lo spettatore è chiamato a compiere un grosso sforzo.
Molti diranno che in questo momento o si fa così o non si fa nulla. Forse è vero, però dico: non svendiamoci. Ho visto miei colleghi che hanno “dato via” spettacoli per avere cento spettatori sui canali social. La domanda da porsi è: perché? Io non lo riesco a capire. Non è utile a nessuno. Perché se vai a controllare chi, di quei 100, è arrivato a vedere tutto lo spettacolo, ti accorgi che neanche 10 saranno arrivati fino alla fine.
Pazientiamo! Scriviamo, proviamo, inventiamo… Il teatro ne ha passate di cotte e di crude, è sempre risorto ed è sempre ritornato: <<Più forte e più potente che pria…>> <<Bravo…>> <<Grazie!>>.
Sono convinto che anche questo momento di pausa ci rafforzerà. In televisione si possono fare delle cose ma deve trattarsi di una televisione fruibile da tutti e non a pagamento. Per quanto riguarda la “Netflix della cultura”, a parte il fatto che non capisco perché si debbano utilizzare i soldi statali per risolvere i problemi economici di strutture private come Chili, mi chiedo visto che abbiamo una televisione di stato che ha già due canali disponibili, Rai5 e RaiCultura, non potremmo usare quelli per offrire questo servizio? Insomma, se ci sono dei canali della Rai, della tv pubblica, che sono demandati ad acculturare gli spettatori usiamoli, anche, per la programmazione di spettacoli teatrali. La Rai compri gli spettacoli registrati pre-Covid e li mandi in onda; non sarebbe più semplice? Io, recentemente, ho avuto la fortuna di poter cedere due miei spettacoli a TV2000 e questo mi ha consentito di ottenere un sostegno concreto; perché non solo ho ammortizzato la spesa delle riprese ma ho potuto retribuire gli attori che hanno partecipato allo spettacolo, come da contratto nazionale. Insomma, riceviamo un aiuto per il semplice fatto che qualcuno compri lo spettacolo. A me, come imprenditore, dai un respiro e, in questo caso, offri la possibilità a tante persone, ai telespettatori, di avvicinarsi al teatro, ma con una ripresa fatta ad hoc, in una sala con il pubblico… quando c’è il pubblico, con le sue reazioni, è più facile entrare nel meccanismo dello spettacolo! 

Ritieni che i “ristori” statali alla categoria, recentemente riconosciuti ai teatri privati, siano sufficienti a garantire la sopravvivenza delle tante realtà italiane?

Noi, come Teatro 7, siamo tra i fortunati che hanno beneficiato del ristoro previsto per i teatri italiani però, bisogna ammettere, che è stato un ristoro assegnato in modo un po’ anomalo… mi spiego, e lo dico da vincitore: possibile che sui circa 700 teatri italiani sia stato concesso solo a 70? C’è una anomalia. Sono il primo a dirlo! Sono stati messi dei paletti che forse non stanno né in cielo né in terra, senza sapere come funziona il meccanismo teatrale?  Ci sono teatri che hanno preso tantissimi soldi e altri che non hanno ricevuto nulla, ma come è possibile?  Forse, purtroppo, al Ministero dei Beni Culturali non hanno contezza di quello che è il meccanismo teatrale. So che nella distribuzione dei fondi hanno ascoltato anche alcuni addetti ai lavori ma, forse, non è stato sufficiente.
Personalmente ritengo che i teatri che prenderanno i rimborsi dovrebbero utilizzare questi denari per tentare di rimettere in movimento il meccanismo. Ad esempio, facendo lavorare, togliendo dalla cassa integrazione, tutti i dipendenti. Se offri la possibilità alle persone di essere attive, anche in un momento come questo in cui, effettivamente, a teatro c’è poco da fare, puoi essere l’artefice di una scelta lungimirante perché dai la possibilità a queste persone, alle famiglie dei dipendenti, dei lavoratori dello spettacolo, di avere un paracadute; inoltre si possono inventare delle attività alternativa: cominciare le prove degli spettacoli da proporre in seguito, oppure la registrazione di alcuni eventi teatrali-televisivi, di video musicali o, infine, indirizzare delle attività di laboratorio per organizzare dei docu-film all’interno di uno spazio teatrale, magari anche con i ragazzi dei laboratori stessi. Occorre far di tutto per permettere ai lavoratori dello spettacolo di ricominciare ad essere attivi, tecnici luci, costumisti, le maestranze in genere, ma anche l’amministrazione, con tutti gli artisti, sono fermi da troppo tempo!
Solo in questo modo, penso, l’aiuto che è stato offerto ad alcuni potrebbe diventare una soluzione utile a molti.
Bisogna avere un po’ di coscienza di gruppo, di categoria. Mi auguro che i miei colleghi abbiano la volontà di fare la stessa cosa che ho intenzione di fare io.

Michele La Ginestra