Riflessioni su Il Sommo Bene. Appunti per un documentario di Chiara Crupi

Carmelo Bene, “Pinocchio” .

«Nessuno è padre a un altro», dice Carmelo Bene a Vittorio Gassman in un celebre confronto durante un suo laboratorio sulla Phoné alla Sapienza (1), organizzato da Ferruccio Marotti. Il mio lavoro di filmmaker è spesso legato alla ricerca: parto sempre da una premessa, da una domanda implicita. Questa volta tutto si è mosso, casualmente, da questa risposta: la prima suggestione all’inizio di un viaggio audiovisivo su Bene di cui ho curato la regia. Ne ha richiamato subito alla memoria un’altra, quella di Eugenio Barba ad una giovane studentessa in un incontro pubblico di molti anni fa – non ricordo quale: «dovete essere madri e padri di voi stessi». La studentessa ero io. Quella dei padri e dei figli “teatrali” è una questione aperta che mi ossessiona da sempre.  Due universi, quello di Bene e di Barba, entrambi salentini, che non credo si siano mai sfiorati, piuttosto credo si siano liberamente ignorati. Per la verità posso dire di conoscere meglio il secondo, per la mia formazione e per aver lavorato negli archivi dell’Odin Teatret, come filmmaker, per quasi una decade. Carmelo Bene invece l’ho “incontrato” non di persona: a teatro, in televisione, nei libri e negli archivi audiovisivi del Centro Teatro Ateneo, ai tempi del mio dottorato con Marotti. Lo reincontro ora, alle prese con un documentario su di lui: come mai un’idea così sfrontata? Il progetto iniziale non era un video ma la presentazione del libro Il Sommo Bene (ed. Kurumuny a cura di Rino Maenza (2), Lecce, 2019), pubblicato in ritardo e con difficoltà, e che ha raccolto, a distanza di 17 anni, gli atti di un convegno organizzato a Torino immediatamente dopo la morte dell’artista, nel 2002 (3). Il libro contiene cinquantaquattro testimonianze di professionisti e amici che hanno lavorato a stretto contatto con lui. La conferenza  avrebbe ospitato alcuni di loro, compreso il curatore del volume, Rino Maenza. Ma come molte iniziative “in presenza” dei nostri giorni, anche questa è stata annullata con il primo lockdown. A distanza di mesi, gli organizzatori, Susanna Fadini – figlia del critico e organizzatore teatrale Edoardo Fadini (4), promotore del convegno – e Luca Vonella – regista e attore del Teatro a Canone che avrebbe dovuto ospitare la conferenza a Chivasso (5) –  si rassegnano ad una diretta streaming. Propongo a loro, con un po’ di incoscienza, l’alternativa del documentario. La messa in onda cioè di un video più “pensato” e articolato in forma di narrazione. Una conferenza in forma di video. Accettano.
È iniziato così il nostro itinerario audiovisivo di ricordi su Carmelo Bene che ha trasformato un ostacolo in un’avventura appassionante. Io e Luca Vonella abbiamo raggiunto quando possibile a casa i relatori del convegno per intervistarli – coinvolgendo anche altri studiosi e collaboratori – oppure li abbiamo contattati in videoconferenza. Susanna Fadini, primo motore dell’iniziativa, è stata il nostro emissario entusiasta e instancabile, ha tessuto le trame e organizzato gli incontri. Nessuna pretesa di sintesi critica naturalmente, data l’imponenza dell’argomento e dell’artista. Solo le nostre domande e un libro come traccia. Questi appunti per un documentario sono in realtà il crocevia di molti libri e studi: fra gli intervistati – artisti, studiosi e giornalisti – ci sono autori di ricerche e approfondimenti, in ambito accademico e non solo (6). Si è profilata dunque una ricchissima rete di riflessioni e di interesse anche sul contesto e sull’ambiente che Bene stimola e innesca, negli anni dell’avanguardia. Ritorna la questione aperta dei padri e dei figli: «Carmelo si è messo in testa a un movimento ma senza volerlo», ci dice Italo Moscati. Di questa filiazione teatrale l’attore e regista Pippo di Marca parla con dovizia, testimone e lui stesso “attore” di una storia che vuole rivendicare, perché in gran parte sommersa e rimossa: l’avanguardia e la sperimentazione che nasce nelle cantine romane. Anche a Torino, grazie alle iniziative culturali di Edoardo Fadini dagli inizi degli anni Sessanta e ai tempi della sua direzione artistica dell’Unione Culturale e poi del Cabaret Voltaire, si evince un clima vivacissimo nutrito, fra gli altri, della presenza di Carmelo Bene, John Cage, Il Living Theatre ecc.. (7). Nei racconti, persino il “lontano” Barba viene percepito come parte non “altra” della cosiddetta avanguardia italiana, mosso in nuce da simili necessità di ricerca e dalla stessa radice di rivolta nei confronti della cultura ufficiale, “allontanatosi” poi per un’altra strada, quella del terzo teatro. Molte storie, in una.

Carmelo Bene ed Edoardo Fadini.

All’interno di questo quadro così ricco e palpitante, i ricordi ad un certo punto si “addensano” spontaneamente su alcuni nodi particolari. Ad esempio sulla “questione tecnologica” (8) nella ricerca artistica di Carmelo Bene. Non è un caso. Il libro ha la particolarità di raccogliere testimonianze di professionisti e maestranze, attori, ma anche scenografi, tecnici, musicisti, organizzatori. E in Bene, prassi, arte, riflessione critica non sono scindibili. Si citano esempi insuperati della sua parentesi cinematografica, come Nostra Signora dei Turchi, Salomè o Hermitage. Una ricerca anche qui sovversiva e contraria, nel suo utilizzo frenetico e numericamente esorbitante delle inquadrature come nella fissità dei primi piani.

Carmelo Bene, “Nostra Signora dei Turchi”.

Si ricorda poi la sua sperimentazione in tv (e nella radio) tra il 1974 e il 1984, quando reinventava il linguaggio e stravolgeva le regole e le possibilità di interazione fra teatro e televisione. Luigi Mezzanotte, attore cresciuto artisticamente con Carmelo Bene – il Laerte di Un Amleto di meno del 1973 versione cinematografica, e di Amleto da Shakespeare a Laforgue, versione televisiva in bianco e nero del 1974 – ricorda che nella sua versione televisiva, Bene aveva preteso esattamente il “bianco e il nero”, eliminando perciò tutti i grigi intermedi, cosa del tutto nuova per la RAI. La regista Irma Palazzo, assistente alla regia di Carmelo Bene in Otello e Manfred (oltre che compagna di vita e d’arte dell’attore Cosimo Cinieri), ricorda come Bene fece impazzire i tecnici per aver tappezzato la scena in Otello di specchi, indomabili alle riprese. Lorenzo Ferrero musicista e suo collaboratore, rammenta la sperimentazione attraverso l’uso dell’amplificazione, e come «la tecnica non sia mai stata un feticcio per lui, ma uno strumento di ricerca incessante, di cui non era mai contento». Ferruccio Marotti invitò Leo de Berardinis e Carmelo Bene ad ascoltare la registrazione della voce di Antonin Artaud in Pour en finir avec le jugement de dieu (Per farla finita col giudizio di dio). E mentre Leo de Berardinis pianse, Bene, visionario pragmatico, chiese immediatamente una copia della registrazione. Lentamente dai resoconti sulla maniacale perizia e puntuale applicazione dello strumento tecnologico alla voce e al corpo della macchina attoriale, si scivola su un piano quasi mistico o sciamanico. Si conferma, fra le voci che si affiancano l’una all’altra, uno stretto legame fra esercizio di rigorosa ossessiva ricerca della perfezione attraverso il mezzo tecnico e la finalità di distruzione dell’“io recitante”. L’amplificazione e in generale lo strumento tecnologico sono una porta per il suo noto procedimento di “sottrazione”, per la perdita, il “non io” che Bene cercava in scena. La testimonianza di Bavera, organizzatore e direttore del teatro Garibaldi di Palermo e amico personale di Carmelo, ci racconta come lui “pretendesse” in scena delle casse acustiche di pari potenza a quelle rivolte verso il pubblico. Allo stesso volume, ma, per la vicinanza al suo orecchio, con un effetto ben più forte. Le usava con l’intento di “stonarsi”, nel senso di perdersi. Quando usciva esausto dallo spettacolo significava che questo “aveva funzionato”. «Un’esperienza» – dice Bavera – «vicina alla trance». La stessa da cui Gassman, nel primo documento audiovisivo citato, si dissociava provocatoriamente parlando di «forme di demonismo, misticismo ritardato, pericolose come seme buttato» soprattutto in presenza di «tanti giovani». Molti giovani oggi, non lo conoscono affatto. Ma ci sono segnali di una riscoperta. «E forse è giunto» – sostiene Petrini – «il tempo di una lettura più storicamente contestualizzata della sua arte». Citando Carlo Cecchi, che riconosce in Bene «il grande attore e il suo doppio» sintetizza: «c’è una sorta di richiamo contraddittorio e paradossale alla tradizione della recitazione italiana del grande attore dell’Ottocento (…) contro il teatro di regia, degli stabili di quel momento. Un richiamo a quella tradizione di attore artifex, come lui stesso dirà, ma contemporaneamente rovesciandola – in sintonia con la grande avanguardia europea – nella “parodia” del grande attore, se per parodia intendiamo qualcosa di sofferto, di profondo (…)». Il tema è denso. Lo strumento del montaggio è potente, avvicina mondi. Può nascondere, mistificare, semplificare. Ma può fare anche luce o trasformare, come un reagente chimico, qualcosa che in potenza già è: Carmelo sprezzante, Carmelo poeta, Carmelo e il denaro, Carmelo enfant gâté, la tenerezza, la fragilità, le donne, l’auto-isolamento, gli eccessi, l’inquietudine. In questo viaggio, non abbiamo trovato un solo Carmelo, forse non abbiamo neanche osato cercarne uno. Ma ne abbiamo percepito il solco, tangibile, inciso nella memoria e nell’esperienza di chi lo ha conosciuto. Il Sommo Bene – appunti per un documentario, andato in onda a dicembre 2020, verrà ritrasmesso l’8 gennaio 2021 alle ore 21.00 – e resterà disponibile per qualche giorno – a questo link: https://www.facebook.com/teatro.acanone/live/.

Note
1) Carmelo Bene, l’immagine, la Phoné. Un video di Ferruccio Marotti, dal seminario del Centro Teatro Ateneo. Teatro Argentina 20 gennaio 1984. Con Carmelo Bene, Giancarlo Dotto, Maurizio Grande, Cosimo Cinieri, Ferruccio Marotti, Vittorio Gassman; riprese di Alfredo Muschietti e Marco Onorato; edizione di Desirée Sabatini. Edizione video 2011.
2) Recentemente scomparso (settembre 2020), Rino Maenza, produttore teatrale e amico fraterno di Carmelo Bene. Organizzò nel 1981 la Lectura Dantis che Bene declamò dalla Torre degli Asinelli.
3) Il Convegno internazionale Le arti del Novecento e Carmelo Bene, su iniziativa di Edoardo Fadini, si è tenuto presso la Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, dal 24 al 26 ottobre 2002, a Torino.
4) Edoardo Fadini (1928-2013), protagonista della vita intellettuale torinese, iniziò come critico teatrale all’Unità e a Rinascita. Dal 1962 al 1974 fu direttore dell’Unione Culturale di Torino fondata da Franco Antonicelli, fondando e dirigendo anche le riviste “Teatro” (insieme a Giuseppe Bartolucci ed Ettore Capriolo) e “Fuoricampo”. Nel 1967 organizzò all’Olivetti di Ivrea il primo Convegno Internazionale sul Nuovo Teatro, da cui scaturì il celebre Manifesto del Nuovo Teatro (Fadini, Quadri, Bartolucci). Nel 1975 al 1994 fondò il Cabaret Voltaire, dedicato al teatro d’avanguardia. Ospitò Bob Wilson, Pina Bausch, Tadeusz Kantor, John Cage, Jerzy Grotowski, Lucinda Childs con Philip Glass e Laurie Anderson, Allen Ginsberg, i Bread and Puppet.  Sostenne e promosse Eugenio Barba, Carlo Quartucci, Leo de Berardinis, più tardi i Magazzini Criminali e Falso Movimento. Tra il 1987 e il 1992 a Chieri (Torino) organizzò il Festival Internazionale del Nuovo Teatro. Per il Teatro Stabile di Torino si occupò per anni di decentramento. Amico e collaboratore di Carmelo Bene dal 1963 fino alla sua morte, ne ospitò molti spettacoli, tra cui Pinocchio, Don Chisciotte. Organizzò a Torino alla morte di Bene la mostra Carmelo Bene: mostra dautore, e il convegno Le arti del 900 e Carmelo Bene.
5) Nell’ambito dell’edizione 2020 di Arterie – Festival di teatro diffuso, direzione Artistica Luca Vonella e Chiara Crupi.

6) Per averne una minima traccia, sicuramente non esaustiva: fra gli intervistati, ricordiamo i film dell’accademico e studioso Ferruccio Marotti, in particolare, insieme allo studioso Maurizio Grande, i due video che  analizzano e ricostruiscono i nuclei creativi delle prove dello spettacolo sulla messa in scena del Macbeth: Concerto per attore solo e Le tecniche dellassenza. Una documentazione dell’esperienza è in Carmelo Bene: un ricordo e un’esperienza di Ferruccio Marotti. Armando Petrini (Università degli Studi di Torino) che si è occupato in particolare di storia dell’attore teatrale dal Cinquecento al Novecento, è autore di Amleto da Shakespeare a Laforgue per Carmelo Bene edito da ETS, 2004; Italo Moscati, amico, estimatore e autore di diversi articoli e recensioni sull’artista, tra cui il saggio Carmelo Bene senza la divisa dell’avanguardia, in www.drammaturgia.it, 21 dicembre 2020; e Bene dal teatro al cinema in “Cineforum” 135-136; Pippo di Marca, attore, regista e autore – fra l’altro – del libro Sotto la tenda dellavanguardia (ed. Titivillus, 2013) sull’evoluzione dell’avanguardia teatrale dal 1959 al 2012. Progetti in fieri: sono in preparazione una pubblicazione su Edoardo Fadini critico teatrale, a cura della studiosa Giuliana Pititu in collaborazione con Armando Petrini ed una mostra dal titolo Stagioni spettacolari. Edoardo Fadini e gli archivi del teatro al Polo del ‘900, organizzata dall’unione Culturale Antonicelli, frutto di un lungo lavoro di ricerca e di archivio. Infine Luca Vonella è autore di Una tradizione marginale. Il movimento teatrale dei gruppi di base (1970-1978) in “Teatro e Storia” vol. 41, Bulzoni, Roma 2020.
7) Ringraziamo Claudio Panella – responsabile dell’Archivio dell’Unione Culturale Franco Antonicelli Polo del 900 – per il contributo, la collaborazione e le foto d’archivio. Un ringraziamento anche a Daniela Trunfio, collaboratrice di Fadini al Cabaret Voltaire, che ci ha aiutato a ricostruire l’atmosfera di quegli anni.
8) Sulla questione tecnologica: Giulia Paladini – Per farla finita con la tecnologia. Carmelo Bene e lindisciplina delle forme mediatiche in “Teatro e Media”, Anna Barsotti, Carlo Titomanlio, 2012.