PROFESSIONI DEL TEATRO > Intervista a Tommaso Le Pera – fotografo di Sergio Roca

Tommaso Le Pera.

Quando si realizza uno spettacolo il suo biglietto da visita è spesso la sua locandina assieme, per i giornali e il web, a ciò che crea il giusto “orizzonte d’attesa”, verso il pubblico: le fotografie di scena. Immagini usate, anche per “storicizzare” il lavoro svolto.
Se è vero che il mondo sta cambiando e sempre più spesso, chi è in scena, si accontenta di qualche scatto o di un video realizzato col cellulare, è pur vero che la qualità e l’impatto che riescono a creare alcune immagini ben realizzate hanno un valore di pura arte che va oltre lo spettacolo. Le foto di scena, poi, sono delle cartine tornasole degli effetti pensati, ottenuti e realizzati dallo scenografo, dal costumista, dal light designer e risultano un importante, immediato, riscontro visivo per il regista nonché una gratificazione aggiuntiva per gli attori eventualmente immortalati in essa.
Le foto di scena realizzate durante una prova generale o una replica riproducono l’immediatezza della rappresentazione e sono un “gioiello” storiografico visivo indispensabile per evidenziare un passaggio particolare, un “umore”, un “sentimento” di un attore o di un gruppo che, poi, fissa in modo indelebile, nella memoria dello spettatore/fruitore dell’immagine stessa, le sensazioni provate durante la rappresentazione.
Incontriamo, questa volta, il decano dei fotografi di scena italiani, moralmente “maestro” di molti altri fotografi Tommaso Le Pera. 

Tommaso, tu non avresti bisogno di presentazioni, ma per i giovani lettori di questa rubrica, rivolta ad offrire un primo contatto con le professioni del teatro e in linea con il format che ci siamo imposti a te l’onere di parlarci di te.

Sono nato in un piccolo paese della Calabria, a Sersale. Già all’età di 13 anni, davo una mano a mio padre nel suo studio fotografico dove ho acquisito una buona pratica nella ripresa fotografica e nel processo di sviluppo e stampa in camera oscura. Contemporaneamente, la sera, sempre assieme a mio padre, facevo l’operatore di proiezione nel cinema del paese, il cinema Aurora, l’unico del circondario. Lì ho imparato a conoscere e ad amare il cinema ma, inspiegabilmente, a un certo momento mi era venuta la manìa del teatro pur non avendo mai visto uno spettacolo teatrale dal vivo. Da quel momento in poi tutte le mie letture erano incentrate sul teatro. Da una casa editrice di Milano mi facevo arrivare i testi che potevo conoscere allora come, per esempio, Amleto, La locandiera, Romeo e Giulietta, ecc. Decisi allora di fare il fotografo di scena teatrale e appena mi si presentò l’occasione, a 20 anni, facendo il classico salto nel buio, mi trasferii a Roma, l’unica città al mondo dove avrei potuto realizzare il mio sogno.

“I giganti della montagna” di Luigi Pirandello, con Gabriele Lavia che ne ha curato anche la regia. 2019. Foto di Tommaso Le Pera

Sei stato uno dei precursori della fotografia di scena dal “vivo” quella che si realizza durante le prove o durante le repliche. Era una pratica poco diffusa prima delle tue “incursioni” sui palchi delle “cantine” romane degli anni Sessanta a causa delle difficoltà tecniche e degli alti costi che comportava. Quanto questa – massiva – innovazione ha influito, secondo te, sia sul modo di rinnovare la fotografia di scena sia (e soprattutto) nel correggere delle messinscene che possono aver rivelato debolezze e punti di forza proprio tramite le tue immagini?

All’epoca (parliamo della fine degli anni Sessanta), data la limitazione dei materiali sensibili e anche delle macchine fotografiche (erano rumorosissime!) e anche perché non c’era il culto della fotografia di scena, tutte le immagini venivano fatte in posa nel senso che il regista individuava alcuni momenti importanti dello spettacolo e durante una prova, arrivati a quel punto, bloccava gli attori e il fotografo scattava le foto con il risultato che il tutto risultava statico, inespressivo e senza il pathos della recitazione.
A Roma non conoscevo nessuno e, ovviamente, nessuno mi conosceva. La sera mi imbucavo nei vari teatri della Capitale, con la macchina fotografica ben nascosta sotto la giacca, cercando di rubare qualche immagine. Come si sa è vietatissimo fotografare durante lo spettacolo per non disturbare gli spettatori e gli attori stessi e quindi, inevitabilmente (e inesorabilmente) venivo messo letteralmente alla porta dalle mascherine dopo 3 o 4 scatti. Però, debbo dire, questa necessità di dover fotografare, appunto, durante una recita, senza interromperne il corso naturale, mi ha permesso di inventare quella che ho chiamato la “fotografia dinamica”.
In quel periodo Roma era il fulcro del cosiddetto Teatro d’Avanguardia, si recitava dappertutto; nelle cantine, nei garage, nei sottoscala. Artisti come Memè Perlini, Giancarlo Nanni, Mario Ricci, Giuliano Vasilicò, Giancarlo Sepe. Fu in questi posti, che non erano dei veri teatri, che questi autori inventarono un modo nuovo di esprimersi teatralmente e le mie fotografie erano perfettamente aderenti a quel tipo di teatro. Poi, piano, piano, anche il teatro ufficiale si accorse di questo modo di fotografare e, con non poca soddisfazione ed orgoglio, posso dire che davanti alla mia macchina fotografica sono sfilati tutti i nomi del teatro; da quelli più noti e carismatici ai giovani talenti appena usciti dalle accademie e scuole di teatro.

“Io, Totò e gli altri” di Gigi Proietti. Regia Gigi Proietti. 2002. Foto di Tommaso Le Pera

Sulla base della domanda precedente, fino al secolo scorso i costi dei materiali professionali necessari per le riprese (pellicole a bassa granulosità con alta sensibilità e qualità ottica degli obiettivi), creavano uno spartiacque “economico” ben delineato tra un prodotto professionale ed uno amatoriale, riducendo anche le opportunità di accesso a questo tipo di lavoro. Ora che tali costi sono praticamente annullati, quali sono, secondo te, le qualità che contraddistinguono un fotografo di scena da chi produce occasionalmente un buon lavoro?

Come dicevo, prima le pellicole fotografiche avevano una sensibilità molto contenuta, si arrivava massimo a 800 ISO, e con la poca luce che, generalmente, illumina la scena teatrale era veramente complicato riuscire ad ottenere buoni risultati. Bisognava operare con un cavalletto che impediva un’agevole operatività e, soprattutto, almeno per quanto riguardava le fotografie a colori, si avevano sempre delle dominanti fastidiose dovute alla luce artificiale dei proiettori.
Con la tecnologia digitale c’è stato un cambiamento epocale. Non ne farei una questione economica, o almeno non solo economica. Con il digitale è diventato tutto più facile, almeno sotto il punto di vista tecnico. La possibilità di operare con altissime sensibilità, di poter controllare immediatamente il risultato e correggere eventuali imperfezioni ha fatto sì che tanti si avvicinassero alla fotografia di scena, un settore che indubbiamente dà tante soddisfazioni e gratificazioni. Senza voler dare giudizi critici e, soprattutto, senza avere minimamente l’intenzione di demotivare eventuali talenti, debbo dire che per fare fotografie a teatro serve soprattutto una sconfinata passione per la fotografia e per il teatro stesso. Al pari di altre professioni bisogna studiare continuamente, conoscere i testi che si vanno a fotografare, conoscere il meccanismo teatrale dalla regia all’illuminotecnica, scene, costumi e, cosa più importante in assoluto, cercare di capire la personalità degli attori stessi; solo così si ha la certezza di ottenere risultati ottimali.

“Finis Terrae” di Gianni Clementi. Regia Antonio Calenda. 2014. Foto di Tommaso Le Pera

Quali sono i consigli che offriresti ad un ragazzo che volesse avvicinarsi a questa attività? Prima corsi universitari dedicati all’immagine e scuole di fotografia erano realtà poco diffuse e la gavetta era, forse, l’unica via. Oggi quale potrebbe essere il percorso corretto per sfondare in questo lavoro?

Per i consigli non posso che ribadire ciò che ho già detto nella precedente risposta. Per gli studi, secondo me, nessuna scuola può veramente insegnarti l’estetica fotografica, in qualsiasi campo, mentre può permetterti di acquisire più rapidamente la tecnica in generale. L’estetica è una sensibilità d’artista, la tecnica è manualità dell’operatore. 

Attualmente, in un teatro che dà sempre meno valore ai “book” di presentazione degli spettacoli ed ai programmi di sala o al materiale da distribuire alle riviste tramite gli uffici stampa, quale è, a tuo giudizio, lo spazio professionale e creativo che resta a un fotografo specializzato nella cura di ciò che accade sul palcoscenico?

Il teatro, come si sa, è un settore veramente povero: poche risorse, poche sovvenzioni, pochi incassi. Di conseguenza le compagnie per cercare di far quadrare i conti, tagliando il superfluo e (secondo loro) le fotografie, sono al primo posto in questa infausta lista. Spariti i programmi di sala. Sparite le fotografie da attaccare in bacheca. Sparite le foto da distribuire ai vari giornali. Ci si limita a qualche immagine ad uso dell’ufficio stampa scattata da un tecnico o da qualche attore della compagnia.
È una vita che enuncio questo mio concetto e, a costo di rendermi ripetitivo e noioso, lo voglio ribadire:
«come si dice nell’ambiente, il teatro è scritto sull’acqua. Infatti, uno spettacolo, bello o meno bello, di successo o con pochi applausi, difficilmente viene ripreso per una seconda stagione, ed ecco che le compagnie si sciolgono e gli attori vanno alla ricerca di nuove scritture, le scene vanno al macero, i costumi ritornano nelle sartorie e di quell’evento, costato fatica, angosce, dubbi, paure, entusiasmi, emozioni, non rimane più niente. Niente, appunto, se non qualche locandina, qualche recensione e, quando ci sono, le fotografie di scena a documentare, comunque, un fatto culturale quale testimonianza visiva per la storia di quanto avvenuto sulle tavole di un palcoscenico in una manciata di minuti». 

“Le Troiane” di Euripide. Regia Muriel Mayette-Holtz. 2019. Foto di Tommaso Le Pera

Da qualche anno, recuperando le foto del tuo immenso archivio, stai realizzando una serie di libri dedicati sia agli autori, come Pirandello e Shakespeare, tramite le foto delle varie messinscene, sia dei registi e degli attori, come Tato Russo e Gigi Proietti. Ci racconti qualcosa di queste avventure editoriali?

È appunto con la consapevolezza di dover lasciare una memoria storica degli spettacoli e della gente di teatro che sto portando avanti due progetti editoriali. Il primo Il teatro nelle fotografie di Tommaso Le Pera può essere considerata un’enciclopedia del teatro per immagini. Partendo da una selezione di scatti dei più importanti drammaturghi di tutti i luoghi e di tutte le epoche mi propongo di raccontare come le loro opere siano state rappresentate in Italia negli ultimi 40 anni. Ogni volume è quindi dedicato ad un autore o meglio al più rappresentativo di ogni determinata epoca o modello culturale ecc. con l’inserimento di altri autori assimilabili, ma minori, oppure meno rappresentati, ma comunque esplicativi ad es.: Pirandello, Shakespeare, Goldoni e gli albori, Molière, Euripide, Sofocle, Eschilo e il teatro antico, oppure Pinter e gli autori angloamericani del dopoguerra, Viviani, Scarpetta, De Filippo e i Napoletani, ecc.
La seconda collana, Art sipario – Leggi il palcoscenico, edita da Manfredi Edizioni, è dedicata ai grandi nomi del Teatro Italiano. In ogni volume sono raccolte le fotografie dei principali spettacoli teatrali dei vari personaggi. Sono già nelle librerie: Mariangela Melato, Gabriele Lavia, Antonio Calenda, Gigi Proietti e Tato Russo. A fine novembre sarà presentato Geppy Gleijeses per poi affrontare Gassman, Valeria Moriconi, Giorgio Albertazzi.

Cosa pensi del DPCM di fine ottobre che ha previsto la chiusura dei teatri fino (almeno) al 24 novembre 2020?

Non so e non voglio dare un parere politico e critico, dico soltanto che per quanto riguarda il mondo dello spettacolo è una vera tragedia. Il tutti a casa ha provocato (e provocherà ancora di più) condizioni di preoccupante incertezza in un comparto già molto incerto. In questi ultimi giorni ho fotografato, durante le prove, alcuni spettacoli che avrebbero dovuto debuttare a stretto giro, questo DPCM ha bloccato tutto. Lo sconforto e la delusione di tutti era tangibile; il lavoro di mesi e mesi da parte dei registi, degli attori, scenografi, costumisti e maestranze buttato alle ortiche. E non si sa fino a quando!

Per salutarci, rito usuale per questo spazio, potresti raccontarci un aneddoto della tua lunga carriera che ti ha fatto comprendere quanto fosse importante il tuo lavoro per attori e registi che hanno ricevuto l’attenzione dei tuoi scatti?

Aneddoti no. Ne avrei mille da raccontare ma non mi viene in mente niente. Posso solo aggiungere che sono molto soddisfatto e contento di quello che faccio. In tutti questi anni mi sono conquistato la fiducia, l’apprezzamento e l’amicizia di tutti quelli che sono passati davanti alla mia macchina fotografica, e questo è una cosa che mi riempie d’orgoglio e mi fa pensare che il mio lavoro a qualcosa serve!

“Uno sguardo dal ponte” di Arthur Miller. Regia Antonio Calenda. 1984. Foto di Tommaso Le Pera