Mario Gelardi e il suo Miracolo alla Sanità Intervista di Carolina Germini

Quando penso alla parola “sospeso” mi viene subito in mente la filantropica tradizione napoletana dell’ordinare un caffè e pagarne due. Come ha scritto Luciano De Crescenzo nel suo libro appunto intitolato Il caffè sospeso: «Quando qualcuno è felice a Napoli, paga due caffè: uno per sé stesso, ed uno per un cliente che viene dopo. È come offrire un caffè al resto del mondo». Dietro questo gesto antico si nasconde un senso di solidarietà e umanità. Esattamente il contrario di quello che sta accadendo in questi giorni nei confronti della cultura, dopo il decreto dello scorso 24 aprile, che ha sancito la chiusura dei teatri. Cercando gli spettacoli del Nuovo Teatro Sanità di Napoli in programma in questi giorni, si legge che sono “sospesi”. Ne abbiamo parlato con il direttore Mario Gelardi, drammaturgo e regista nonché ideatore di questo spazio, ormai divenuto punto di riferimento per molti.

Cosa significa per voi questa misura in questo preciso momento?

Il punto è cercare di entrare in un’ottica diversa, non tanto pensare che cosa significhi per noi ma che cosa significa per il Paese. Io non penso che i teatri debbano essere trattati meglio di altre aziende culturali o aziende in generale. Io chiedo di essere trattato come gli altri lavoratori. Quindi nel momento in cui si decide di chiudere un teatro in cui lavorano, come nel mio caso, una ventina di persone, la parte economica da sopperire deve essere dignitosa. E io credo che un bonus di 600 € sia carità, una cifra con cui è impossibile andare avanti. Non sono io a stabilire se è necessario chiudere i teatri. Io voglio soltanto capire il pensiero che si nasconde dietro questa  decisione e in che modo si pensa di sopperire.

Il vostro teatro nasce come un teatro di comunità, nel cuore del rione Sanità, questa chiusura quindi non va solo a colpire la vostra stagione teatrale ma tutto il lavoro che fate con i ragazzi del quartiere. 

La stagione teatrale è l’ultima cosa, è una parte di un concetto molto più grande. Noi siamo un territorio in cui c’è il più alto tasso di abbandono scolastico, in cui noi rappresentiamo un’alternativa alla piazza anche semplicemente stando aperti. I bambini venivano qui da noi nel pomeriggio soprattutto nei mesi in cui non si andava a scuola. Il nostro  lavoro è continuo. Conosciamo bene il tessuto umano che c’è qui. Ma sa qual è il problema? Che chi ci governa non ha la minima idea di quale sia il nostro lavoro, compreso il nostro ministro, altrimenti non direbbe le cose oscene che è stato capace di dire.

O almeno non direbbe che chi si lamenta della chiusura dei teatri non si rende conto dell’emergenza sanitaria in corso… 

Noi ci lamentiamo perché non riusciamo a dare da mangiare ai nostri figli, a pagare l’affitto…

Senza contare che i teatri si sono rivelati tra i luoghi più sicuri dalla fine del lockdown a oggi…

Su questo punto, se mi permette, ho un’idea un po’ diversa perché, se non c’è una statistica con base scientifiche che lo conferma, queste notizie rischiano di diventare solo opinioni, quello che posso dirle però è che noi abbiamo speso dei soldi per adeguarci, seguendo le indicazioni che ci sono state date. Questo mi lascia ancora più perplesso, perché mi sembra che chi ci ha chiesto di farlo evidentemente non aveva le idee così chiare. Questo vale anche per i ristoranti e altri spazi. Noi chiediamo solo di essere trattati come gli altri.

Proprio in questi giorni sarebbe dovuto andare in scena al Piccolo Bellini lo spettacolo Quattro uomini chiusi in una stanza, che lei ha scritto e diretto, anche se per ora è sospeso. Può raccontarci com’è nata l’idea?

Mi sono ispirato alla vicenda giudiziaria di Federico Aldrovandi. In realtà ho cercato di mettere insieme diversi casi, non solo quello: volevo raccontare quando lo Stato passa dall’altra parte, quando noi cittadini ci ritroviamo ad avere come avversari chi dovrebbe darci sicurezza. Volevo raccontare quella storia, come si riesce a mentire per 7-8 anni. Poi alla fine c’è sempre qualcuno che rivela cosa è accaduto, come è avvenuto anche con il caso di Stefano Cucchi. La storia che ho raccontato è legata a questi quattro uomini che cercano di accordarsi per essere credibili e dare una versione dei fatti coerente. Ricorda molte cose accadute in America negli ultimi anni e mi sembrava necessario raccontarla.