Ah com’è triste la prudenza! di Emanuela Bauco

Il libro di Federico Raponi, classe 1968, non è solo un piccolo compendio di memorie, è più di questo. Quando il fumo si dirada. Momenti di una vita tra politica, arte e cultura partigiane, centoventiquattro pagine divise in tredici capitoli, è preceduto da una generosa introduzione a cura di Vincenzo Miliucci, figura emblematica dell’estrema sinistra e tra i fondatori dell’Autonomia Operaia di Via dei Volsci e della Confederazione Cobas.
Dichiaratamente autobiografico, come afferma l’autore stesso nel “saluto al padre” a cui con gratitudine dedica il quaderno, è anche il resoconto lucido di un’esistenza spesa nella militanza politica fuori dalle file istituzionali (quelle della sinistra extraparlamentare); è, inoltre, il racconto della rivolta di una generazione di giovani, quella degli anni Ottanta e Novanta, vissuta ai margini, eppure al centro di un dibattito appassionato, irrinunciabile e necessario. In questo senso il lavoro acquisisce, senza dubbio, il valore di fonte storica parziale le cui tracce, per quanto difficili da capire o da interpretare per chi le legge oggi, non possono essere ignorate. Sono memorie che intrecciano la vita personale alla vita politica, pervase, soprattutto, dall’urgenza etica, dall’impegno civile e culturale. Federico Raponi crede con tenacia che la cultura abbia il potere di “cambiare la società”: «Le scelte. Se per la propria vita non si immagina un progetto, un obiettivo, sono le scelte – prese o mancate – a tracciare un percorso. In ogni caso, col grande privilegio di averle a disposizione. Perché, in sintesi, la libertà è poter scegliere».
Il rischio di morire lo coglie di sorpresa. Una notte. A quarantacinque anni. E scatena l’urgenza di scrivere. Così, la morte diventa un’occasione per fermarsi e riavvolgere il nastro della sua vita, trasformando il suo tempo. “Fedingo”, epiteto con cui viene chiamato da un certo punto in poi, attraversa quegli anni, ce li fa vedere e ce ne fa sentire l’odore. Sono gli anni in cui Roma è un pullulare di occupazioni e sgomberi, gli anni di centri sociali autogestiti e occupati che accolgono tutto il malessere di una generazione e che, molto spesso, fungono da contenitori e promotori di una cultura musicale, teatrale, cinematografica, pittorica “altra”, sommersa e non uniformata, spesso di “avanguardia” che altrove non trova spazio e interlocutori. L’autore ci racconta gli anni delle manifestazioni in piazza, delle dancehall (Raggamuffin) dei 99 Posse, gli anni dei collettivi, di Anubi (lo storico animatore della Pantera alla Sapienza), gli anni di Askatasuna, il centro sociale occupato in via della Nocetta a Monteverde e il carcere di Rebibbia. In una lingua scarna, volutamente documentaristica, Raponi distilla, seziona e taglia al millimetro i ricordi, restituendoci la sua versione della storia. Sceglie di scrivere in terza persona affinché quei “documenti” siano il più possibile oggettivi. Federico Raponi è stato ed è molte cose. Dagli anni della Pantera all’esperienza del Teatro Valle occupato fino a Radio Onda Rossa che segue dal liceo e con cui partecipa al programma Fuori dai banchi. Sarà proprio Radio Onda Rossa il luogo deputato dove lavorerà per oltre un ventennio – e sarà l’alma mater del programma Voci della Resistenza. Sono gli anni del processo Priebke e la sua trasmissione sarà importante all’interno del dibattito che si creerà sulla questione. A Radio Onda Rossa rimane per più di vent’anni occupandosi di teatro e cinema. Alcune pagine fanno intravedere quel rapporto privilegiato che Federico ha avuto con Mario Monicelli il quale lo pregia di un dialogo ininterrotto e commovente che poi lo avvicinerà alla figlia di lui. La grande storia è sempre il frutto delle microstorie, passaggi apparentemente insignificanti che invece rivelano. Ci sono momenti commoventi come il capitolo intitolato “Leonessadove ci racconta di Albina, la bisnonna materna che aveva vissuto all’Orfanotrofio di San Michele a Ripa. Il libro ha una struttura circolare. Si apre con dei momenti personali adolescenziali e si conclude con un ricordo altrettanto personale. «Ora invece, è una questione di sangue, di DNA, di tre passaggi genealogici all’indietro. Fino a una bisnonna cresciuta in orfanotrofio, a quel ramo familiare che portava in sé il germoglio della nobiltà d’una ribellione cui la collettività avrebbe reso onore, quasi 80 anni dopo, con una medaglia». Così chiude il cerchio di un’esperienza segnata dalla vocazione per l’umano, dove l’etica rimane il filo rosso e l’istanza per ogni azione presente e passata. Se potessi riassumere in un’immagine la suggestione più potente che mi lasciano le sue pagine sarebbe questa: «Diario di un imprudente, la fede appassionata di un agnostico».

Federico Raponi, Quando il fumo si dirada. Momenti di una vita tra politica, arte e cultura partigiane, StreetLib, Milano, 2020, pp.124, disponibile online, 3,00 euro. La versione cartacea è edita da A.G.Tofani, Frosinone, 2020, pp. 226, 9,00 euro.