Attraversamenti Multipli: un progetto che dura da vent’anni di Letizia Bernazza

Foto di Carolina Farina

Per chi segue da anni il lavoro di Margine Operativo, il progetto multidisciplinare creato a Roma nel 1993 e coordinato da Alessandra Ferraro e Pako Graziani, non può mancare all’appuntamento annuale del festival Attraversamenti Multipli che nel 2020 ha tagliato il traguardo di due decenni di attività.
Chi scrive è stata testimone della penultima serata di Attraversamenti. Malgrado le giuste ristrettezze imposte dall’emergenza sanitaria e un inizio di autunno non troppo clemente viste le condizioni metereologiche, ancora una volta sono state la vitalità della relazione e la sinergia tra le persone a contraddistinguere anche questa edizione: dall’accoglienza ricevuta al quartier generale di Largo Spartaco di Roma alla volontà di coinvolgere quanti abitano quel luogo, che lì hanno le loro radici e che hanno bisogno di sentirsi parte di una comunità “aperta”, senza confini e barriere, come d’altronde noi spettatori chiamati ad “attraversare” territori, spazi urbani, luoghi “non convenzionali”, linguaggi artistici differenti e, con essi, quelle “interferenze” in grado di farci interrogare sul nostro presente.
Tre i lavori presentati il 26 settembre scorso: la performance Alone in the multitude del performer Salvo Lombardo; Beautiful Borders performance site specific di Margine Operativo; Eravamo, primo capitolo dello spettacolo scritto da Simone Amendola con Valerio Malorni. Tre lavori che intrecciano “formati” e codici espressivi differenti come d’altronde è nella stessa natura del Festival: una performance per un solo spettatore alla volta; un’opera che si nutre della relazione tra danza e teatro; uno studio, un work in progress, testimone di quella “processualità artistica” da rendere visibile nel “suo farsi” in vista della sua stessa “definizione” finale.

Foto di Carolina Farina

Salvo Lombardo instaura da subito con il singolo spettatore o la singola spettatrice una relazione diretta nei cinque minuti che si viene chiamati a partecipare. Si entra dotati di una cuffia. Ad attenderci il performer. Passano pochi secondi e veniamo invitati a seguire i suoi movimenti, i suoi gesti. Intanto, la prima impressione, è quella di una autentica condivisione nutrita dalla vicinanza di due corpi che si scoprono e che dialogano vicendevolmente. Non c’è alcuna distanza  tra il “fare” di Salvo Lombardo e il “fare” di chi lo segue. Si respira un’insolita armonia e, dopo pochi secondi, è inevitabile lasciarsi andare, liberare le nostre membra (nel mio caso anche con un po’ di goffaggine!) senza alcuna remora. Con il suo sguardo e le sue azioni, il performer ci accompagna, ci segue, ci sorride, ci sprona ad osare, ci stimola ad “inserirci” nel flusso della musica che è anche un invito a “trascendere” il nostro stesso corpo, a liberarlo in nome di quella prossimità (già sperimentata in Outdoor dance floor) necessaria ad «esperire attraverso il ballo, nuove dinamiche relazionali, echi e riverberi del movimento». Una scelta estetica e poetica che rovescia – anche spazialmente, oltre che emotivamente – le “logiche” del clubbing con una re-interpretazione dei processi di identificazione che dalla dimensione individualista tende, invece, alla interazione sociale. Sul finire di quei cinque minuti, che sembrano essere un’ora per energia ed efficacia trasmesse,  sono quei cartelli che Salvo Lombardo lascia cadere ai nostri piedi a rafforzare il significato dell’intera performance: «Intorno all’essere toccati da qualcosa di estraneo», «di qualcosa che non lascia più l’uomo», come a ribadire la centralità, sempre, dell’essere umano da cui c’è l’urgenza di non rifuggire. Mai.

Foto di Carolina Farina

Neanche quando ad ostacolarlo, quell’essere umano, sono le frontiere. Cosa vuol dire passare oltre le “barriere”, oltre quei «confini convenzionali e geografici, astratti e reali, fisici e mentali?». È questo il tema centrale di Beautiful Borders. C’è tutta un’umanità intorno a noi che si muove, che “passa attraverso di noi e oltre noi”, che a volte accogliamo e a volte respingiamo, ma di certo che non possiamo più non considerare dal momento che, come afferma il filosofo Franco Rella, «i territori dell’umano, sono territori di confine». Ed allora è proprio questa “terra di mezzo”, questo spazio del “tra”, ad essere indagato da Margine Operativo e da Francesca Lombardo. Nello spazio di Largo Spartaco, la performer riesce con precisione a restituire la dimensione di coloro i quali non hanno più un’identità, un corpo, un ruolo sociale.  La busta di carta che porta con sé, simbolo del proprio passato e del proprio presente, fa sentire anche noi sradicati nell’”assenza di un luogo”, come direbbe Simone Weil. Un luogo di cui ci si vorrebbe riappropriare, insieme alla nostra identità, ma che spesso trasporta tanti uomini e tante donne verso l’assenza di un universo comune, di una solidale appartenenza, di un esilio senza tregua che lascia indifesi, che lacera le esistenze. Le migrazioni e i conflitti sono un po’ come quella mela rosicchiata dalla performer, sono un po’ come quel guardare costantemente dentro quella busta di carta che porta con sé e che è il suo bagaglio di una vita. C’è tanta poesia nella performance di Francesca Lombardo. Nella spogliazione finale dei suoi abiti, c’è tutto il senso di quello stato esistenziale che esprime il dolore di «identità individuali e collettive (…) costruite e fratturate dall’esperienza dell’attraversamento dei confini (…) un drammatico campo di tensione in cui spesso la ricerca di una vita migliore si infrange sulla catastrofe della morte» e di cui bisognerebbe interrogarci per mettere in discussione «gli ordini consolidati».

Foto di Carolina Farina

La ricerca di identità è il fulcro anche di Eravamo, il racconto scenico di Simone Amendola e di Valerio Malorni che vede protagonista in scena quest’ultimo. Lo studio, primo capitolo di uno spettacolo cui la compagnia sta lavorando, vuole essere un racconto teso ad investigare le relazioni tra l’Io e il Noi, tra l’individuo e un possibile gruppo sociale di appartenenza che, tuttavia, sembra quasi essere impermeabile a qualsiasi possibile opportunità di scambio. Il prologo è la canzone Gloria di Umberto Tozzi suonata con una pianola a perdifiato dall’attore, mentre su uno schermo scorrono immagini che rappresentano vent’anni trascorsi a cucire insieme sguardi sul mondo, un puzzle che ha più il sapore di una ricerca di libertà, individuale e collettiva, che di un discorso teso a cavalcare ideologie. Si respirano, tuttavia, dalle immagini proiettate, un’adesione e una partecipazione che da quegli stessi ideali sembrano portarci verso un altrove che individua una scissione, una spaccatura, una sorta di faglia aperta tra lo sperimentare l’appartenenza dentro una comunità e la difficoltà per i singoli individui ad entrare in quella stessa comunità. Un gruppo, a volte, chiuso, che lascia il segno su quei “vestiti che non hanno sesso”, su “quelle mutande che non si cambiano”, su quelle “droghe che rappresentano più un fine che un mezzo” dello stare insieme. Eppure, l’attore cerca un collegamento. Invita cinque spettatori accanto a lui (ho potuto fare esperienza anche di questo!). Quegli stessi spettatori che diventano parte integrante della narrazione e che Malorni non abbandona mai con i suoi sguardi, con quegli occhi celesti che ci fissano per tenerci dentro la storia  raccontata, con una presenza attoriale capace di non permettere mai che si distolga l’attenzione. Una narrazione che sa restituire un’esperienza e che i partecipanti fanno insieme a lui. Un teatro dell’esistenza, come è stata definita la raccolta di Simone Amendola Teatro nel diluvio, pubblicata da Editoria &Spettacolo che raccoglie anche il testo Eravamo.

Alone in the Multitude 

ideazione e performance Salvo Lombardo
musica Ka Moma
elaborazione sonora Salvo Lombardo
produzione Chiasma, Roma
con il sostegno di  MiBAC – Ministero Beni e Attività Culturali
in collaborazione con Centro Nazionale di Produzione della Danza Scenario Pubblico e Nano Festival\Farm Cultural Park di Favara.

Beautiful Borders

ideazione Pako Graziani e Alessandra Ferraro
regia Pako Graziani
coreografie Francesca Lombardo
performer Francesca Lombardo
sound designer Dario Salvagnini
voce Tiziano Panici
produzione Margine Operativo
coproduzione Attraversamenti Multipli, Compagnia di San Paolo nell’ambito di ORA! Linguaggi contemporanei Produzioni innovative.

Eravamo

scritto da Simone Amendola
con Valerio Malorni
regia Amendola/Malorni
una produzione Blue Desk
con Infinito srl, Capotrave/Kilowatt, Mare Culturale Urbano.

Attraversamenti Multipli 2020, Roma, 26 settembre 2020.