Ritorno alla modern dance con Sasha Waltz di Paolo Ruffini

Foto di Piero Tauro

Incline all’abitare gli spazi con temperature corporee sempre molto “modulari” aderenti alle geometrie e alle architetture dei tracciati urbani o museali scelti, Sasha Waltz torna a Roma con Dialoge Roma 2020 | Terra Sacra in apertura della trentacinquesima edizione del Romaeuropa Festival alla Cavea dell’Auditorium Parco della Musica. Un evento sicuramente, che sembrerebbe indicarci una certa continuità di senso con il precedente Dialoge del 2009 al MAXXI, dove gli elementi costitutivi del museo avevano giovato ulteriormente agli spostamenti percettivi, mentre in questa Terra Sacra i muri e i ballatoi evidenziano un chiaro segno scenografico, di cornice persino, preceduto da interventi agiti tra corridoi e alberi come “intro” che accompagna lo spettatore alle sedute di fronte al palco. Dedicato a Roma, dunque, questo nuovo tassello della Waltz & Guests è costruito per sezioni, parti autonome che cercano un comune vocabolario sensibilizzato dal momento storico in cui va a depositarsi, tempo di inevitabile ribellione, di paura ma anche di riavvicinamenti, di una rinnovata socialità tra persone differenti in risposta, forse, al clima reazionario che si respira un po’ ovunque. Al di là delle dichiarazioni della coreografa, lo spettacolo è leggibile e diretto e parla all’emozione.

Foto di Piero Tauro

Con la chiusa di Parcour (prima sezione di Dialoge) in scena entra il performer Edivaldo Ernesto con tutta la sua carica gestuale al limite di una attualizzata ritualità; è una lotta di ombre, al punto di esserne sopraffatto, si misura con se stesso, col proprio spazio vitale in cerca di un atto di eversione, un atto di resistenza metaforica in quella significazione di giustizia ch’è oggi il Black Lives Matter. Difatti la scomposizione dei movimenti raffigurano trasparenze derivative dalle arti marziali e dalla capoeira, un registro coreografico molto addosso all’interprete, al suo carattere istintuale, potenziando in questo modo quella nera fisicità “riversata” come un controcanto nella composizione musicale di Georg Friedrich Haas I can’t breathe. È un “solo” di danza che si scompone e ricompone nel corpo di un interprete molto apprezzato dal pubblico e sicuro dei suoi strumenti espressivi. Ecco allora aprirsi un terzo tassello di questa verbalizzazione del sentimento intorno al ripensamento esegetico  della danza contemporanea con una “smisurata” suite da Le Sacre du printemps, partitura armoniosa e ridefinita nelle fughe di duetti o assoli e nei ritorni di un nutrito gruppo di danzatori alla prova con un pensiero coreografico che scava nell’archeologia dell’età moderna. La coralità offerta è sempre gioiosa, melodiosamente intrecciata, dove i corpi ci rivelano una scrittura d’insieme memore e smemorata allo stesso tempo, un archivio insomma che non è dispositivo della memoria, ricerca che espropria la rappresentazione, ma è invece l’immutare del tempo del lessico danzato. Stravinskij è un grimaldello al servizio dell’immaginario di questa idea che la Waltz ha oggi del concetto di sacrificio, di perdita, di rinuncia e di opportunità figurale: tra natura e cultura, tra corpo collettivo e corpo autoriferito, tra residuo e spazio di resistenza che incontra il ritorno a un certo naturalismo idealizzato con l’inevitabile spostamento cromatico sul finale di un “rischio” sacrificale appena accennato.

Foto di Piero Tauro

Ci ricorderebbe Deborah Lupton a proposito dei simboli e degli strascichi di immaginari tra un corpo sociale e la soggettività del singolo che nella «natura simbolica dei rituali relativi alla purezza e alla contaminazione, assume un ruolo centrale l’intuizione che il corpo umano, nella sua materialità, si rivela concettualmente come un microcosmo del corpo politico (o della comunità della quale è parte). Lo dimostra, in particolare, il modo in cui viene simbolicamente concettualizzato e controllato il fluire di vari elementi dalle aperture di entrambi i corpi, quello umano e quello sociale, e quindi il modo in cui sono costruiti e protetti i confini tra il “dentro” e il “fuori”» (1). Per questo l’ultima sezione dello spettacolo è un Boléro ancor più “colorato” sempre in quella direzione fortemente umana e fatta di trasparenze gestuali, inno alla rinascita e al dialogo tra i molti, calibrando la ritmicità ossessiva di Ravel sugli sdoppiamenti e le ricongiunzioni danzate che come lo scorrere di una pacata marea gestisce l’impeto e la roboante interlocuzione musicale all’unisono col movimento. Molti applausi.

Nota:

1)Deborah Lupton, Il rischio. Percezione, simboli, culture, Il Mulino, Milano-Bologna, 2003, p. 47.

Foto di Piero Tauro

Dialoge Roma 2020 | Terra Sacra
Sasha Waltz & Guests

regia e coreografia Sasha Waltz
costumi Jasmin Lepore, Bernd Skodzig (Sacre)
luci Martin Hauk
drammaturgia Jochen Sandig
danza e coreografia Jirí Bartovanec, Davide Camplani, Maria Marta Colusi, Juan Kruz Diaz de Garaio Esnaola, Davide Di Pretoro, Luc Dunberry, Edivaldo Ernesto, Yuya Fujinami, Tian Gao, Hwanhee Hwang, Annapaola Leso, Margaux Marielle-Tréhoüart, Sergiu Matis, Michal Mualem, Sean Nederlof, Virgis Puodziunas, Zaratiana Randrianantenaina, Orlando Rodriguez, Mata Sakka, Yael Schnell, Claudia de Serpa Soares, Joel Suárez Gómez
ripetizione Antonio Ruz Jimenez.

Romaeuropa Festival, Auditorium Parco della Musica,  20 settembre 2020.