Invito a teatro: Manuale minimo dello spettatore di Sergio Roca

Recandomi a teatro con amici che non sono abituati ad assistere, frequentemente, a questo tipo di spettacolo dal vivo, ho notato, spesso, che alcune scelte registiche o recitative risultavano, loro, poco chiare tanto da rendere poco godibile l’opera appena vista.

Quando, recentemente, fra le novità editoriali, è stato pubblicato Invito a teatro di Luigi Allegri (docente di Storia del Teatro presso l’Università di Parma) ho subito pensato che un simile lavoro poteva essere di aiuto proprio a chi, non del “mestiere” desidera avvicinarsi all’argomento. La quarta di copertina, infatti, promuove il testo come indirizzato a rispondere alle domande: «Quali sono le nostre aspettative quando andiamo a teatro? Che cosa siamo tenuti a conoscere prima che si alzi il sipario? Come viene trattato il testo di cui lo spettacolo è rappresentazione? Qual è il ruolo degli oggetti, della musica, della danza?».

Leggendo lo scritto, però, mi sono reso conto che si tratta di un lavoro ben più organico e profondo, molto diverso da quanto viene “reclamizzato” in copertina. Benché si tratti di un volume di piccolo formato di circa 140 pagine esso offre una visione, quasi completa, del mondo della produzione teatrale, in particolare quella degli ultimi due secoli. Per la condensazione del lavoro e l’ampiezza degli argomenti trattati, Invito a teatro si potrebbe definire (lo scrivo con il massimo del rispetto ritenendo ciò un complimento, non una critica) un “Bignami” della storia dello spettacolo. Un’interessante raccolta di informazioni utili e necessarie alla conoscenza di quel cammino storico, sociale e antropologico, che il teatro ha fatto dalle origini ai giorni nostri.

Nel libro si analizza dapprima «L’orizzonte d’attesa dello spettatore» cioè tutto ciò che – ai tempi di oggi – lo spettatore “minimo” si attende di vedere sulla scena, partendo dalle proprie basi culturali spesso acquisite dai soli insegnamenti scolastici. In quella sede, però, in genere, il teatro viene considerato una trasposizione scenica di un testo letterario.

Queste conoscenze scolastiche sono, di fatto, il limite principale alla fruizione di un lavoro teatrale contemporaneo in quanto, dall’inizio del secolo scorso, è il regista il nuovo “autore” dell’opera teatrale perché essa è composta, non solo dal testo del drammaturgo, ma da un insieme di informazioni come la musica, la scenografia, le luci e, non ultima, la metodologia di recitazione del testo di riferimento.

Il secondo e il terzo capitolo si dedicano, proprio, a definire il lungo percorso col quale la “scena”, nata dal lavoro delle compagnie composte da attori/drammaturghi viene prima “conquistata” dalla supremazia del testo (quindi dai drammaturghi e dalla personalità degli attori-istrioni) per ottenere la sua “indipendenza” solo grazie alla nascita della regia. Un percorso che, trasversalmente ai movimenti culturali del Naturalismo, Romanticismo, Verismo, giunge fino ai nostri giorni passando per quelle Avanguardie artistiche come il Surrealismo, il Dadaismo e il Futurismo che crearono i presupposti per una mutazione dei gusti del pubblico. Se verso la fine dell’Ottocento il testo e l’attore cercavano una completa mimesi della realtà e quindi essi erano il punto focale della rappresentazione scenica, successivamente sarà l’insieme dei messaggi, strutturati dal lavoro del regista/autore, come lo spazio, la luce, i costumi, gli arredi, il modo di recitare, a creare una nuova “verità” scenica non coincidente, necessariamente, col testo drammaturgico. Tant’è che, come scrive, Allegri: «… non è raro il caso che la locandina dello spettacolo, anche quando indica un testo di riferimento, rechi la dizione non ‘di’ ma ‘dà’ un drammaturgo, intendendo che quel testo non è rispettato nella sua integrità».

Il quarto capitolo, il più corposo del volume, a riprova di quanto detto precedentemente, spiega come la scena, o meglio lo spazio scenico, nel mutare il rapporto tra l’area dedicata alla rappresentazione e quella riservata alla fruizione (con la nascita del “golfo mistico” dovuta a Wagner assieme al far “buio” in sala) crea una serie di possibili “nuove verità” nell’area del palcoscenico. Sono le scenografie, gli arredi, i costumi, le luci, le musiche, i movimenti a trasmettere quell’insieme complesso e continuo di informazioni senza le quali lo spettatore non sarebbe in grado di percepire tutte le sfumature, le variazioni, che il “nuovo creatore dell’opera teatrale” vuole trasmettere, tramite gli attori, inserendoli in un contesto in cui sentirsi a loro agio o al contrario in disequilibrio, agli spettatori.

L’analisi sull’attore, vero motore di ogni spettacolo, sul suo modo di recitare e sul modo di rapportarsi col pubblico e con il testo è, logicamente, l’argomento successivo. Un operatore della scena che deve mutare le proprie capacità di recitare nel tempo; deve adattarsi alle “mode” ed alle scuole di pensiero per essere compreso (e gradito) dai contemporanei. Dalla figura autoreferenziale del grande attore all’imitatore del gesto quotidiano “credibile”, così come proponeva il Naturalismo, e, per grandi linee, la scuola di Stanislavskij o distaccata “marionetta di carne”, al servizio dello spettacolo, per rendere visibile quella artificiosità che la scena deve esibire, proprio per essere credibile, seguendo le indicazioni del miglior allievo di Stanislavskij: Mejerchol’d. Un percorso che giunge fino od oggi nella (ri)scoperta figura dell’attore-narratore o meglio un giornalista-attore che da un fatto di cronaca costruisce un recital, per voce sola, come fa Ascanio Celestini. Il volume termina con alcune riflessioni su ciò che resta, allo spettatore, dopo aver assistito ad una qualsivoglia, messa in scena.

Il mio giudizio complessivo sul volume è decisamente buono; si tratta di un’opera organica, ben scritta e facile da leggere tuttavia, a dispetto delle premesse, debbo segnalare che se non avessi avuto delle nozioni pregresse, avrei avuto qualche difficoltà a seguire alcuni ragionamenti o a comprendere, con pienezza, alcuni eventi della storia del teatro cui l’autore si riferisce. Se da un lato, al lettore, si offrono molti spunti di riflessione, cosa che suggerisce degli approfondimenti sui singoli argomenti trattati, dall’altro un libro pieno di nomi di attori, autori, registi con riferimenti ampi a spettacoli e situazioni, potrebbe risultare “ostico”, nella comprensione, proprio a coloro i quali, apparentemente, il libro si rivolge: soggetti non addentro agli studi di teatro che cercano dei semplici strumenti per meglio analizzare, comprendere, fruire, quanto uno spettacolo teatrale può offrire.

Luigi Allegri, Invito a teatro: Manuale minimo dello spettatore, Edizioni Laterza Bari-Roma, 2018, pp.134, euro 13,00.