LIBERTEATRI > Shakespeare-Hugo. Bagliori, scie, spaesamenti di Emanuela Bauco

È uscito per Feltrinelli nella nuova traduzione dal francese a cura di Donata Feroldi il volume di Victor Hugo

William Shakespeare, pubblicato per la prima volta nel 1864 e progettato dall’autore come introduzione alla traduzione dell’opera completa di Shakespeare fatta dal figlio François-Victor Hugo. Lo scritto crebbe a tal punto che divenne un libro, così scrisse un’altra introduzione per il figlio, e lo pubblicò.  Lo realizzò nella casa di Marine Terrace, la casa dove trascorse i primi tre anni del suo esilio (dal 1852 al 1855), sull’isola inglese di Jersey dove il mare incombe con il suo tumulto. Hugo lo definisce esplicitamente il suo «Manifesto letterario del XIX secolo» e lo ricollega al suo Cromwell del 1829. Da una prefazione a Shakespeare, è diventato una riflessione etico-estetica sul ruolo dell’arte acquisendo, come suggerisce Donata Feroldi, il valore di un Canone Occidentale, un canone ante litteram, con la capacità peculiare di aprirsi ad altre e lontane tradizioni. Il libro, introdotto da una essenziale presentazione della curatrice-traduttrice, oltre alla breve prefazione di Hugo comprende tre parti ed è corredato dalle note al testo. La prima parte è articolata in 5 libri: Shakespeare la vita; I geni; La scienza; Shakespeare e il vecchio; Le anime. La seconda parte è in 6 libri: Shakespeare – Il suo genio; Shakespeare la sua opera – I punti culminanti; Zoilo altrettanto eterno di Omero; Critica; Gli spiriti e le masse; Il Bello servitore del Vero. E la terza parte con tre libri: Dopo la morte – ShakespeareL’Inghilterra; Il diciannovesimo secolo; La storia reale. Ciascuno rimesso al suo posto.
Un punto per me essenziale in termini di prassi teatrale è l’aggiunta del saggio del regista Alessandro Serra, Un teatro nella vita. Le pagine finali sono divise tra i cenni biografici di Hugo e una bibliografia ragionata. Cosa sia o non sia l’“Arte”, cosa sia il “genio”, o il peso dell’esilio inflitto in quanto strumento del potere, sia esso religioso o politico, sono i nodi attorno ai quali si articola e ruota ogni ragionamento di Hugo. Il grande vecchio ci parla di “uomini oceano”, egli stesso è un uomo oceano, Shakespeare è un uomo oceano. In quel paese di “Uguali” che è l’arte suprema, «il capolavoro è pari al capolavoro. Come l’acqua, riscaldata a cento gradi non è passibile di ulteriore aumento di calore e non può spingersi oltre, il pensiero umano raggiunge in certi uomini la sua piena intensità: Eschilo, Giobbe, Fidia, Isaia, San Paolo, Giovenale, Dante, Michelangelo, Rabelais, Cervantes, Shakespeare, Rembrandt, Beethoven e alcuni segnano i cento gradi del genio». Il testo è colmo di suggestioni, di bagliori e intuizioni, di invenzioni, Hugo ce lo consegna con un taglio personale e da poeta, il suo imperativo categorico consiste nel dimostrare quanto l’“Arte” sia uno strumento divino, spirituale, e il “genio” – la cui origine resta misteriosa – sia portatore di civiltà. “Arte” e “Natura” sono termini dal significato pressoché illimitato. «La grande Arte, impiegando questo termine in senso assoluto, è la regione degli Uguali».
La necessità di leggere oggi un libro come questo non risiede solo nella potenza della lingua di Hugo, nella sua poesia, o nella commozione che le sue parole generano, quanto piuttosto nell’ampiezza del suo sguardo, in quella importantissima intuizione per la quale è impossibile separare l’etica dalla forma poetica, il pensiero dalla poesia. L’anomalia felice di questa edizione, è che all’interno di un trattato sulla poesia pubblicato da Hugo nella seconda metà dell’Ottocento sia stata introdotta la carnale e vivente testimonianza di uno come Serra che Shakespeare lo frequenta dal punto di vista della pratica teatrale, e che questo intervento funzioni. Non è la prima volta che un regista di estrema sensibilità dialoga con Shakespeare; in questo caso, il regista Alessandro Serra dimostra di conoscerlo da dentro, taglia il capello in mille pezzi, scompone ogni particella della caverna shakespeariana e da meticoloso scultore della materia ci conduce fin dentro il suo “dispositivo magico”, ribalta le nostre visioni consolidate, ne offre di insospettate. Quelle di Serra sono solo ventotto pagine suddivise in sette piccoli capitoli: Scrittura di scena; Naturale/Sovrannaturale. Sembiante/ Apparente; Teatro nel Teatro, nel teatro. Cioè la vita; Immagini; Spazio. Tempo. Luce; Lingua. Lo studio parte da una “confessione” presente nel V atto dell’Enrico V, dove è il coro a parlare, e nella quale Serra individua le leggi della scrittura di scena. Subito dopo ci porta a riflettere su un punto fondamentale, cioè che Shakespeare è un attore che scrive, un uomo di “scena” che mette sulla carta ciò che prenderà vita solo sulla scena, per la scena e per degli attori precisi ogni sera. Un processo, non un approdo. «È un attore che scrive e lo fa attraverso la propria esperienza e quella dei suoi compagni. Le sue creazioni nascono sul palcoscenico e dunque prima di essere opere poetiche sono anzitutto dispositivi scenici». Non importa quanto Il testo sia bello: «Nel mettere in scena le sue opere dobbiamo essere consapevoli del rischio di restare abbagliati da questa letteratura così sublime. Il rischio è di confonderla con il teatro, le due arti convivono ma non sono la stessa cosa». La scrittura di scena è il ponte sul quale si compie l’artificio, l’energia potenziale della provvisorietà del testo e la relazione che esso intrattiene con il palco. «Sono copioni fermi all’ultima rappresentazione». Serra, ci parla dei “segni” presenti del teatro di Shakespeare mai trascritti perché la comunità li conosce, li condivide – una convenzione questa che apparteneva anche al teatro greco e al teatro di ogni tempo. «Una serie di segni che veicolano informazioni e che in quanto assodati non vengono mai trascritti nei copioni. Mi riferisco alle convenzioni che in ogni epoca si attuano attraverso un tacito accordo tra attori e spettatori. Questo spazio lasciato vuoto nei copioni è il più prezioso degli ingredienti per la scrittura di scena, poiché è più immediato della parola». Così le parole in Shakespeare possiedono il fulgore, esplodono, e spetta agli attori il compito di trasformare le parole scritte in parole “parlanti” e “parlabili”, non ai letterati. «Non si tratta di cercare una lingua nuova ma di ricreare una lingua dimenticata, viva, nata nel corpo e capace di risuonare quando rievocata. Una lingua che dica nel suono prima che nel senso e che qualsiasi attore possa imparare attraverso la danza. Perché è solo partendo dal corpo che si può risalire all’impulso sonoro che ha generato quella parola, prima che le speculazioni semantiche la offuscassero. Quando la parola scritta rinasce come suono e la si àncora all’emotività della scena allora si superano anche le barriere linguistiche e uno spettacolo in una lingua sconosciuta può attraversare il mondo ed essere apprezzato da qualunque spettatore».
Questo libro offre una lettura che non si esaurisce, che va distillata, una lettura che ci riguarda e si rivolge a tutti coloro ai quali il teatro, l’“Arte”, sta a cuore; non vi si troveranno ricette, risposte, ma squarci, fessure, domande, ponti, militanza, bellezza. Victor Hugo e Alessandro Serra provengono da sponde e tempi diversi, non si incontreranno mai eppure si sono incontrati. Hugo approfitta del “poeta sovrano” William Shakespeare per parlare di etica ed estetica, di Arte e Natura, dell’unicità, della grandezza dell’essere umano, e dell’Artista in particolare, e del suo compito nella società. Serra parla dell’artigianato della scena. Hugo definisce Shakespeare un uomo triplice: «Shakespeare ha la tragedia, la commedia, la fantasmagoria, l’inno, la farsa, Il vasto riso divino, il terrore e l’orrore e, per riassumere tutto in una parola, il dramma». Si tratta di «espiantarne l’aura», dice Serra riferendosi all’opera shakespeariana. Anche questo dialogo che si forma nella mente del lettore è tra i motivi che rendono questo scritto di Victor Hugo un libro attuale, un libro necessario.

Victor Hugo, William Shakespeare, a cura di Donata Feroldi. Traduzione dal francese di Donata Feroldi. Con uno scritto di Alessandro Serra, Feltrinelli, Milano, 2020, pp. 359, euro 12,00.