Coronavirus e chiusura dei teatri: parlano Fonsatti e Popolizio Interviste di Patrizia Vitrugno

Sono ore drammatiche per la cultura, ore di attesa nella speranza che si possa in qualche modo limitare il danno. Le presidenze di Agis – Associazione generale italiana dello spettacolo e Federvivo hanno infatti chiesto, con una lettera inviata al ministro Franceschini, l’apertura di uno “stato di crisi” del settore dello spettacolo dal vivo in seguito alle disposizioni adottate dal governo per limitare la diffusione del Covid-19.
Un contagio ormai non solo sanitario ma anche economico perché soprattutto al nord si concentra il 30% dell’economia italiana. L’Agis ha stimato basandosi su dati Siae che la settimana di chiusura (dallo scorso weekend fino al prossimo 1° marzo) dei luoghi di spettacolo situati nelle Regioni colpite dai casi di contagio del Coronavirus (dal Piemonte al Friuli Venezia Giulia, dalla Liguria alla Lombardia e all’Emilia Romagna) provocherà una perdita economica di oltre 10 milioni di euro, diretta causa della cancellazione di 7.400 spettacoli.
Abbiamo raggiunto telefonicamente Filippo Fonsatti, presidente di Federvivo, che illustrando la situazione nella quale versa il settore, lancia l’allarme invitando le autorità competenti a una profonda riflessione auspicando interventi immediati e mirati alla salvaguardia dei lavoratori dello spettacolo.

Foto di Andrea Guermani

Dottor Fonsatti qual è la situazione?

Siamo in totale emergenza e il nostro lavoro ora è quello di agire su due livelli: da un alto con le autorità locali per capire se ci sarà o meno una proroga dell’ordinanza che per ora pare scongiurata, e poi a livello nazionale. Purtroppo la situazione è abbastanza drammatica perché le ricadute economiche sono già significative.

Quali sono le conseguenze a livello locale e nazionale?

Danni ingenti a tutti i livelli, sia locale che nel resto d’Italia. Solo per fare un esempio: a Torino sono state annullate 6 recite dello spettacolo Un nemico del popolo di Massimo Popolizio (una Produzione Teatro di Roma) al Teatro Carignano e altre 6 al Gobetti dove era in programma Radio Clandestina di Ascanio Celestini (produzione Fabbrica) per un totale di 12 recite solo come produzione laziale. Senza considerare a Milano le date saltate dell’Antigone del Teatro Stabile di Catania o le nostre repliche dell’Arlecchino servitore di due padroni. È una situazione di emergenza, dunque, che travalica i confini regionali. A questa emergenza poi se ne aggiunge un’altra legata al divieto, esteso fino al 15 marzo, di uscite didattiche scolastiche per cui tutti i settori educational delle grandi e piccole istituzioni, dalla Scala di Milano al teatro del più piccolo comune, si vedono azzerare l’attività per un periodo ancora più lungo di quello che ha colpito gli altri teatri. La situazione è un bollettino di guerra perché il target di riferimento non è unico. Ovviamente in questo quadro disarmante la categoria più vessata sarà quella dei lavoratori dello spettacolo. Non essendoci in questo comparto la cassa integrazione, rischiamo che i costi più alti vengano pagati dagli artisti e dai tecnici impegnati nelle produzioni. Infine oltre al danno materiale immediato, con mancato fatturato dovuto alla chiusura e ai mancati borderò, si aggiunge l’eventuale potenziale penalizzazione ai fini della rendicontazione Fus.

Cos’è necessario fare?

Oltre al sostegno economico sarà indispensabile pensare a un’operazione di medio-lungo periodo mettendo in campo azioni di rassicurazione nei confronti del pubblico. Si tratta di un grosso investimento da fare nei prossimi mesi quando l’emergenza sarà passata. Sarà una lunga traversata!

Cosa si aspetta dal ministro Franceschini?

Non vogliamo assistenzialismo ma un riconoscimento della nostra funzione aiutandoci a fare in modo che il pubblico ritrovi fiducia nello spettacolo dal vivo. Ci aspettiamo, inoltre, attraverso il dottor Cutaia incaricato dal Ministero di seguire la vicenda, che vengano accolte le nostre istanze e che vengano disposte delle iniziative per alleviare il disagio che stiamo vivendo tenendo in speciale considerazione la questione relativa al Fus, il Fondo unico per lo spettacolo, strumento indispensabile per la sopravvivenza di tantissime realtà. Le iniziative devono per cui convogliarsi su due livelli, quello normativo e quello economico. Sappiamo che i tempi potrebbero essere lunghi ma siamo fiduciosi e auspichiamo una soluzione veloce. Non ci aspettiamo un trattamento di favore ovviamente perché l’impatto di questa situazione coinvolge tutti i settori, dal turistico al culturale e quindi in generale tutta l’economia del nostro Paese. Ma al pari di altre aziende ci attendiamo la dovuta considerazione.

La stessa che è auspicata dal settore che per primo ne sta subendo le conseguenze: gli artisti. Tra loro Massimo Popolizio che ha visto annullare le date del suo Un nemico del popolo (premio Ubu 2019 come miglior spettacolo) in programmazione al Carignano di Torino.

È un disastro totale. Per noi artisti questa chiusura è una tragedia perché non andando in scena non abbiamo paracadute. Non voglio fare polemica ma la situazione per noi scritturati è davvero drammatica e bisogna correre ai ripari in fretta.

Cosa possono fare gli artisti?

Purtroppo nulla perché tutto questo si trincera dietro alla frase “causa di forza maggiore” e un po’ com’è successo in Un nemico del popolo tutti tendono a fare il massimo che la legge consente loro di fare in nome della salute pubblica. E qui sta succedendo questo. Lo dico con molta ironia: ma perché allora non chiudere anche le metropolitane? Perché non vietare i trasporti pubblici o gli spostamenti in macchina? E poi mi chiedo: perché questi provvedimenti non stati presi anche in Francia? Purtroppo si fa presto a chiudere i teatri perché è la cosa più semplice. I teatri però non sono come le sale cinematografiche: un film lo puoi riprogrammare, uno spettacolo teatrale no, non si recupera. Una sala teatrale non si può riattivare dall’oggi al domani come quella cinematografica, ha bisogno di più tempo lo spettacolo dal vivo. Il teatro è una cosa viva e pare che non se ne accorga nessuno. Credo che, come spesso accade, la salute diventa un alibi e quando si parla di salute pubblica e si mette in campo l’opinione pubblica, allora tutto è permesso, tutto si può fare.

Cosa si aspetta Massimo Popolizio dalle istituzioni?

Mi auguro che il teatro venga trattato dal governo alla stregua per esempio degli agricoltori quando si verificano alluvioni o sciagure simili. Vorrei che gli artisti fossero equiparati a qualsiasi altra categoria di lavoratori perché questo siamo. E non come spesso viene detto dei “graziati da dio” solo perché facciamo un lavoro che ci piace. Io mi auspico che quando e se ci sarà un rimborso vada nelle tasche di chi effettivamente ci ha rimesso per primo e non in quelle dei soliti noti e speriamo che tutto avvenga in tempi veloci.