La sapienza degli scimuniti: “Masino Scacciapensieri” di Massimiliano Perrotta di Filippa Ilardo

Uno scimunito che pettina la sabbia. Masino si definisce così. Masino Scacciapensieri è il nome e il titolo del monologo scritto da Massimiliano Perrotta, edito da Torri del Vento Edizioni, nella collana teatrale “Le Primule”, diretta da Luigi Rausa. Eppure, questi pochi elementi quanto più tendono ad essere minimi, tanto più nascondono numerosi orizzonti di senso. Intanto l’essere scimunito, che ci ricorda altri scimuniti, come quelli di Scaldati, Totò e Vicé per l’appunto, che, con la loro grande forza di smascheramento, rappresentano lo scivolamento nel rovescio, il cammino inverso che va dal noto verso l’ignoto, dimostrando la contraddittorietà dell’esistenza, attraverso un gioco ludico che è sottrazione alla logica coerenza.
Ecco perché Masino passa la vita a fare un lavoro, che per gli altri non è un lavoro, quello di pettinare le spiagge, renderle uniformi, belle allo sguardo e alla vista. Un impegno continuo il suo, che lo porta a viaggiare, a rompersi la schiena, a sfiancarsi, a incontrare persone, a dialogare anche senza conoscere lingue diverse.
Ora l’azione di pettinare la sabbia in sé, ci potrebbe ricordare il modo di dire “pettinare le bambole” che implicherebbe una connotazione di azione inutile, insignificante, un gioco fine a se stesso.
Ma sta proprio qui la portata eversiva, contrastiva, anarchica di questo atto: il pettinare le spiagge di Masino è un gesto estraneo al mondo che rivela le contraddizioni del mondo. È un’azione che si sottrae al circolo del bisogno-soddisfacimento. Proprio per tali caratteristiche diventa “figura” della creazione artistica. L’atto creativo, al pari dell’atto di pettinare la sabbia, facendo girare a vuoto le attività umane, le apre in possibilità; contemplazione e inoperosità possono diventare quindi operatori di metafisica che affermano, contro la religione capitalistica, il senso del sacro.
Forse non occorre scomodare Seneca e la sua distinzione tra otium e negotium, actio e contemplatio, eppure nello scimunito Masino troviamo l’inconsapevole sovversivismo libertario e contemplativo che tanto decantarono i classici. E forse è anche utile alla nostra lettura, la distinzione fatta da Aristotele tra poiesis e praxis, tra un’azione che produce qualcosa di utile e un’azione che trova il proprio fine in se stessa, senza preoccupazione di riuscita, perché non c’è nessuna riuscita.
Pettinare la sabbia non realizza un fine esterno: il suo compimento è già nello stesso farsi. L’azione creativa è solo il respiro visionario della realtà.
In uno dei dialoghi, una donna chiede a Masino: «che bisogno c’era di cambiare il paesaggio, è già bello e perfetto così com’è?».
L’azione che Masino imprime al paesaggio è quello di riportare ordine nel caos, il che in qualche modo ci ricorda il pensiero che sottende il giardino zen.
Il senso dell’architettura giapponese presuppone un forte senso di ascolto della dimensione naturale, un equilibrio tra l’uomo e l’esterno.
Mentre in Occidente il rapporto con la natura è fondato sul predominio dell’uomo, sull’afferra, taglia, modifica, sul possedere lo spazio, sul manipolarlo, nel giardino zen esiste invece, una simmetria della relazione tra l’uomo e il paesaggio, tra l’interno e l’esterno.
L’azione dell’uomo è volta semmai a rendere sacro lo spazio esterno, fondendosi con esso, accettando l’idea di transitorietà dell’elemento naturale. Si tratta di conferire un’aura alla natura stessa, separandola da quella selvaggia.
Masino, da scimunito quale è, avverte forse il bisogno istintivo di imprimere il proprio gesto primordiale e naturale all’esterno. Che poi a persone di teatro la parola gesto non può non ricordare l’acuta riflessione grotowskiana: ovvero il gesto è parte di quel processo di autocoscienza che caratterizza la ricerca dell’attore, riscoprendo l’essenza più intima della sua personalità per poi palesarla. La sua azione di pettinare, benché inconsapevole, ricrea un mondo ampliato nelle sue dimensioni spirituali, in equilibrio tra dimensione materiale e spirituale.
Del resto, la natura non è affatto un divenire regolato nel quale ogni singolo evento si concateni con gli altri come tante tessere di un domino.
Allora Masino ha un suo disegno, un suo fine, un suo telos, direbbero i greci.
Un disegno che trascende la transitorietà dell’esistenza che si disperde nella molteplicità del divenire. Lo sguardo di Dio è l’unico che abbia la capacità di riunire passato, presente e futuro.
Che Dio, dall’alto possa scorgere il suo disegno, cogliendolo con il suo sguardo senza spazio e senza tempo. Che possa cambiare un destino, che possa volgere il male in bene.
Ecco perché il nostro Masino pettina la sabbia: per andare dal non senso al senso, dall’illogico alla logica, dal caso al cosmos, dal male al bene, dalla perdizione alla salvezza.

Massimiliano Perrotta, Masino Scacciapensieri, Torri del Vento Edizioni, Palermo, 2019, pp. 60, euro 10,00.