Pinocchio nei costumi di Parrini Intervista di Carlo Alberto Biazzi

Massimo Cantini Parrini nasce a Firenze. Dopo i suoi studi, tra cui il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, entra nella Sartoria Tirelli come assistente costumista. Con questa qualifica inizia la sua carriera, affiancando il premio Oscar Gabriella Pescucci, che lo chiama a collaborare per varie produzioni internazionali.
È stato definito più volte “l’archeologo della moda” per la sua grande passione nel ricercare e collezionare abiti di ogni epoca. Ha vinto tre David di Donatello oltre ad altri riconoscimenti, tra cui i Nastri d’Argento e il Ciak d‘oro.
Tra i suoi film più importanti, ricordiamo: Che strano chiamarsi Federico di Ettore Scola, Il racconto dei racconti di Matteo Garrone, Indivisibili di Edoardo De Angelis, Ella & John di Paolo Virzì e Dogman di Matteo Garrone.
Il suo sodalizio con Garrone continua con il film Pinocchio, nelle sale italiane dal 19 dicembre. Per Liminateatri.it ha, gentilmente, accettato di rispondere ad alcune domande sul film.

Pinocchio è una fiaba che il cinema ha già abbracciato svariate volte. Ricordiamo lo sceneggiato di Comencini con Nino Manfredi o il film di Roberto Benigni. A che cosa ti sei ispirato per distinguerti dal lavoro degli altri costumisti?

L’idea di partenza è stata molto chiara. Mi sono ispirato alle prime illustrazioni della fiaba, quelle disegnate da Mazzanti e Chiostri. Volevo mantenere un filo conduttore forte con il libro. L’ispirazione, poi, per me, deriva anche dalla mia collezione, giusto per spaziare nella creazione. Garrone, nonostante ci abbia messo del suo, ha voluto ricalcare l’autenticità della storia di Collodi. Poi c’è il personaggio di Pinocchio. Ecco, per lui, ho deciso un colore forte, un rosso acceso.

Che materiali hai usato?

Cotone, lino, lana, seta. Materiali naturali che abbiamo dovuto lavorare e invecchiare.

Il regista ti ha dato carta bianca?

Assolutamente sì. Ho fatto la mia proposta anche confrontandomi con il reparto scenografia. Le scenografie sono importanti quando si parla di abiti. Garrone aveva le idee molto chiare, uguali alle mie.

Cosa hai voluto trasmettere con i tuoi abiti? Fantasia o realtà? 

Realtà, senza ombra di dubbio. I personaggi sono antropomorfi. Non poteva essere altrimenti, essendoci delle ambientazioni completamente reali.

 

La tua scena preferita?

Sicuramente quella del teatro dei burattini, una scena enorme e molto complicata. C’erano tante comparse da vestire. Penso sia la scena più magica.
È sempre difficile sapere cosa sia giusto o sbagliato. Sicuramente, da parte mia, c’è stata la volontà di far aderire le mie idee alla storia originale.

Vuoi aggiungere qualcosa?

Direi che la cosa migliore sia guardare il film e lasciarsi trasportare da questa splendida fiaba senza tempo. Vorrei solo ricordare che il 20 dicembre, al Museo del Tessuto di Prato, è stata inaugurata una mostra con gli abiti del film. Sono molto contento, ci sarà modo di poterla visitare fino a fine marzo. In più ci saranno anche esposti gli abiti della mia collezione, proprio quelli a cui mi sono ispirato.

Ho preferito non entrare nel dettaglio con le mie domande, giusto per non “spoilerare” troppo e regalare allo spettatore due magnifiche ore in compagnia di uno dei personaggi più amati delle fiabe. Pinocchio di Garrone è da annoverare tra le due migliori trasposizioni cinematografiche di tutti i tempi. Dopo Comencini – il suo sceneggiato tv rimarrà sempre nel mio cuore – Garrone ha saputo raccontarci, attraverso immagini ben precise, la storia del burattino di legno più famoso di tutto il mondo. Lo fa con eleganza, con realismo, ma soprattutto con “lealtà” perché non ha cambiato nulla della storia originale o comunque ben poco. Tutto è perfetto, scorre liscio, le immagini sono sopraffine, le musiche azzeccate, le location originali. E, naturalmente, i costumi non sono soltanto un contorno, ma sono parte integrante della storia e si accompagnano in maniera egregia ai trucchi live (e non computerizzati) del britannico Mark Coulier, prosthetic makeup di molti film americani di successo. In due parole: un film da vedere.