I «luoghi dell’anima». Il giardino di Kepler-452 di Enrico Piergiacomi

Foto di Luca Del Pia

Il giardino dei ciliegi. Trent’anni di felicità in comodato d’uso della compagnia Kepler-452 parte dall’intuizione centrale dell’omonimo testo di Čechov. Ciascuno di noi ha un’area di paradiso che si desidera difendere dalla brutalità del mondo esterno, se è ancora in nostro possesso, o che si vuole riscattare con la parola e l’azione, se è invece andato del tutto perduto. Ciò vale a prescindere dalla posizione sociale o dall’estrazione culturale di partenza. Se infatti la felicità è un obiettivo a cui esseri umani, animali e divini tendono per natura, allora essa costituisce forse il filo conduttore che lega personalità tra loro molto diverse. Nessuno vuole il male, tutti aspirano con trasporto al bene.
Questo punto comune lega tra loro l’aristocratica Ljuba del testo di Čechov e gli sfollati della riscrittura di Kepler-452: Annalisa Lenzi e Giuliano Bianchi, che per circa trent’anni occuparono una casa colonica, adibita come associazione a tutela degli animali e concessa per comodato d’uso dal Comune di Bologna, poi ritirata dalla medesima amministrazione. Il loro spazio costituiva non tanto un luogo fisico in cui le bestie (i.a. un boa constrictor o un babbuino) e alcune persone periodicamente ospitate (carcerati, una famiglia rumena, ecc.) potevano trovare alloggio, cibo, sicurezza quotidiana. La casa colonica era, per usare le parole di Nicola Borghesi, un «luogo dell’anima». Le cose importanti che rendevano gli spazi di Annalisa e Giuliano un’oasi di felicità erano, infatti, di natura più ineffabile, impalpabili eppure concrete. I legami forti tra animali ed esseri umani erano rappresentati dalla condivisione di esperienze o relazioni fondamentali. Per fare un unico esempio, ciò che faceva la felicità di figure così diverse come un babbuino e un carcerato era nella consapevolezza di sapersi accolti dall’affetto disinteressato di Annalisa/Giuliano. Si trattava, appunto, di un bene dell’anima, che i soldi o una casa più grande non avrebbero potuto ottenere con la stessa generosità e leggerezza.
Da un punto di vista più tecnico, possiamo isolare nello spettacolo due piani. Abbiamo, da un lato, la dimensione nostalgica ed euforica insieme. Il racconto dello sfratto di Annalisa e Giuliano non si compone, del resto, solo del doloroso ricordo di una bellezza ora lontana. I momenti belli che la coppia aveva attraversato sono ri-raccontati da questa sulla scena, nonché rappresentati con umorismo e giocosità dagli attori di Kepler-452, diventando così un bene condiviso con gli spettatori. La scelta risulta efficace e intelligente, perché impedisce allo spettacolo di trasformarsi in una semplice testimonianza di un malessere o disagio sociale. Il racconto di Annalisa e Giuliano poteva rischiare di limitarsi a essere lo sfogo di due persone in pena, mentre invece diventa una riflessione sulla fragilità dei luoghi dell’anima e sull’importanza di ricercarli. La felicità data da questi posti vale la pena di essere trovata, malgrado lo sfondo dell’orrore quotidiano e nonostante il costante rischio che tale bellezza ha di svaporare come fumo.

Foto di Luca Del Pia
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Foto di Luca Del Pia
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Dall’altro lato, è interessante osservare una costante sovrapposizione della dimensione teatrale de Il giardino dei ciliegi di Čechov e di quella biografica degli sfollati bolognesi. L’impressione è che il drammaturgo russo abbia involontariamente raccontato persino la vicenda di Annalisa/Giuliano, pur avendo in mente quella dell’aristocratica Ljuba e della sua famiglia. Le parole dei personaggi del testo di Čechov spiegano benissimo infatti la condizione esistenziale della coppia. Viceversa, la tragedia di Annalisa/Giuliano dice qualcosa anche sui «luoghi dell’anima» di Ljuba, ossia che le gioie che essa ricavava dal suo giardino sono identiche, per qualità e importanza, a quelle provate nella casa colonica. I mezzi per raggiungere la felicità possono dunque variare: il benessere che ne risulterà sarà però il medesimo. E se questo è vero, ne seguirà che i «luoghi dell’anima» non hanno spazio né tempo. Essi accolgono chiunque vi si accosti. Al suo interno Ljuba, Annalisa, Giuliano, il babbuino, il carcerato e tutti gli altri si trovano a far parte di una comunità spirituale, dove le relazioni che si hanno in comune hanno più peso delle differenze.
Il lavoro si distingue, in conclusione, per la sua capacità di estrarre gioia dalla nostalgia della bellezza e di stimolare ad attuare un processo di recupero o conquista di un nuovo paradiso. L’unico elemento che forse apre una distanza tra Il giardino dei ciliegi di Čechov e la riscrittura di Kepler-452 sta nel finale. L’opera del drammaturgo russo si conclude con un’indicazione che Ljuba e gli altri aristocratici non sono solo delle vittime, ma anche operatori di violenza. Questi personaggi lasciano il giardino, infatti, dimenticandosi il vecchio servo che, accortosi di essere stato lasciato lì, se ne va a morire tra i mobili della casa. Questo elemento “nero” e atroce dell’opera di Čechov viene invece del tutto rimosso nella versione di Kepler-452. Diversamente da Ljuba, Annalisa e Giuliano vengono presentate come persone incapaci di compiere il male, che soccombono alla decisione di un potere più grande di loro. Il risultato è, da questo punto di vista, una semplificazione dell’originale di Čechov, che fa emergere una visione meno cupa ma anche meno dialettica dei «luoghi dell’anima». Nell’opera del drammaturgo russo, questi spazi vengono creati da persone che possono e vogliono commettere atrocità. Nella riscrittura di Kepler-452, invece, essi vengono evocati con successo esclusivamente da coloro che conducono la loro esistenza all’insegna della purezza.

Il giardino dei ciliegi. Trent’anni di felicità in comodato d’uso

ideazione e drammaturgia Kepler – 452 (Aiello, Baraldi, Borghesi)
regia Nicola Borghesi
con Annalisa Lenzi , Giuliano Bianchi, Tamara Balducci, Nicola Borghesi, Lodovico Guenzi
regista assistente Enrico Baraldi
assistente alla regia Michela Buscema
luci Vincent Longuemare
suoni Alberto “Bebo” Guidetti
scene e costumi Letizia Calori
video Chiara Caliò.

Teatro delle Briciole, Parma, 23 novembre 2019.