Bolognini e Pasolini: storia di una collaborazione di Carolina Germini

La Cinémathèque française di Parigi rende omaggio al regista Mauro Bolognini attraverso una retrospettiva lunga quasi un mese. Dal 31 ottobre al 25 novembre, infatti, si può assistere alla proiezione dei suoi film e a incontri e a conferenze a lui dedicate.
Ancora una volta sorprende l’ammirazione e l’interesse che la Francia mostra per registi italiani pressoché sconosciuti alle giovani generazioni. Questa retrospettiva è una delle tante occasioni in cui la critica francese difende il regista Bolognini dall’accusa di essere solamente un manierista capace di trascrivere testi letterari in immagini. Dedicare un periodo così lungo a Bolognini significa quindi riconoscere la sua importanza nel panorama del cinema italiano e volerlo riscattare da un’immagine riduttiva che non riconosce il suo talento. Egli occupa un posto centrale nella storia del cinema degli anni 1950-1980.
Si avvicina alla regia mentre studia scenografia al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Qui conosce Luigi Zampa, figura fondamentale per il debutto artistico del regista. Nel 1953 esordisce con la pellicola Ci troviamo in galleria, che risulta una commedia ancora un po’ acerba se paragonata ai lavori successivi. Ma è con Gli innamorati del 1955 che la sua personalità registica emerge con forza.
Con Arrangiatevi del 1959 dirige Totò in una commedia talmente brillante che verrà selezionata nella lista dei 100 film italiani da salvare. Ma sarà l’incontro con Pasolini a segnare una svolta nella carriera del regista pistoiese. È Marisa la civetta del 1957 a sancire l’inizio della loro collaborazione. Ne scriveranno insieme la sceneggiatura. Nel 1959 invece lavoreranno a La notte brava, tratto da un racconto di Pasolini. Insieme l’anno successivo firmeranno le sceneggiature di film come Il Bell’Antonio e La giornata balorda, scritto quest’ultimo insieme a Moravia.
Scrivere le sceneggiature dei film di Bolognini segnò per Pasolini l’inizio della sua carriera da cineasta e Bolognini, a partire da questo incontro, cominciò a realizzare i suoi film più importanti.

Il bell’Antonio occupa un posto di grande rilievo all’interno della produzione di Bolognini. Si tratta infatti di una delle sue prime trasposizioni da romanzi e da racconti italiani. Partendo dall’omonimo romanzo di Vitaliano Brancati, il regista traspone l’opera di una trentina d’anni, dall’epoca fascista alla Sicilia dei primi anni Sessanta. Antonio Magnano, interpretato da Marcello Mastroianni, è il rampollo di una famiglia alto-borghese. È amato e conteso dalle donne. Si innamora di Barbara, ma ben presto, dopo averla sposata, verrà costretto a divorziare a causa della sua impotenza.
Il matrimonio infatti non si è mai consumato. È il ritratto di un’Italia maschilista senza amore ma avida di sessualità. Antonio crede alla donna ideale e mantiene per tutto il film la sua innocenza e la sua purezza.

Tra i numerosi film di Bolognini proiettati durante la retrospettiva vi è anche Capriccio all’italiana. Si tratta di un esperimento molto interessante girato nel 1968, che ancora una volta vede insieme Bolognini e Pasolini, anche se in una forma diversa. Si tratta di un film composto da sei episodi diretti da diversi registi tra cui, oltre a Bolognini, Monicelli, Steno, Pasolini, Pino Zac e Franco Rossi. Il film si apre con Il mostro della domenica diretto da Steno, che vede protagonista Totò nel ruolo di un maniaco che sequestra i capelloni che incontra e che, dopo averli addormentati, li rapa a zero. Ritroviamo Totò anche nel terzo episodio diretto da Pasolini: Che cosa sono le nuvole? È interessante notare come quest’ultimo sia completamente slegato dagli altri. Mentre in tutti abbiamo il ritratto di un preciso momento storico – quello dell’Italia degli anni Sessanta – qui viviamo una dimensione atemporale. Si tratta di un vero e proprio racconto “metafisico”, che provoca nello spettatore un effetto straniante. Dalle strade trafficate e dai salotti borghesi infatti si passa agli interni di un teatro disperso nel nulla, in cui, un gruppo di marionette recita l’Otello.
Pasolini mette in luce come gli attori, prigionieri dei loro ruoli, fingano sul palco e dicano la verità soltanto dietro le quinte. Il protagonista è Jago, interpretato da Totò, che architetta alle spalle di Otello il falso tradimento di Desdemona con Cassio.
Comprendiamo il senso di questo episodio se ci soffermiamo su un dettaglio: il quadro Las Meninas di Velázquez che appare all’inizio. Si tratta, come ha messo in luce Foucault nella sua opera Le parole e le cose, del dipinto illusorio per eccellenza in cui abbiamo uno specchio, che ci mostra ciò che è al di là del quadro ovvero il nostro spazio. Lo spettatore quindi occupa solo apparentemente un luogo privilegiato. Non è a lui che i personaggi si rivolgono. Si tratta dello stesso concetto che Pasolini vuole trasmettere con Che cosa sono le nuvole? Egli qui mostra l’illusoria posizione dello spettatore, che crede di vedere ma in realtà non sa nulla. Pasolini ci svela così l’inganno del teatro.
La finzione del quadro di Vélasquez trova il suo compimento in un’immagine geniale: Domenico Modugno, che intonando la canzone Che cosa sono le nuvole? carica i corpi di Jago ed Otello nel furgone e li scarica, insieme ad altri rifiuti, in un fossato. Nel finale Jago ed Otello, con gli occhi rivolti al cielo, osservano le nuvole e Jago dirà: «Ah, straziante meravigliosa bellezza del creato!».
Che cosa sono le nuvole? È un’analisi delicata e poetica del rapporto tra apparenza e verità, tra agire e pensare. È interessante ritrovare Bolognini e Pasolini qui a distanza di otto anni dalla loro ultima sceneggiatura, in questo esperimento che mostra il loro differente registro linguistico, ma che rende omaggio al loro sodalizio.

                                                          

Rétrospective Mauro Bolognini, La Cinémathèque française, Parigi, dal 31 ottobre al 25 novembre 2019.