La moderna agorà di Margine Operativo di Letizia Bernazza

Foto di Chiara Cocchi

Anche quest’anno, Attraversamenti Multipli non delude la sua vocazione: quella di un Festival pensato per agire in quel “limite discontinuo”, che intende sperimentare linguaggi “altri, di “mediazione”, contemporanei – teatro, danza, site specific – e formati particolari con il fine di investigare e di testimoniare la relazione arte e vita, performance e militanza politica.
Il Festival ha una lunga storia ormai. Nasce nel 2001 per volere di Alessandra Ferraro e Pako Graziani di Margine Operativo, gruppo storico fondato nel 1993 a Roma (per quanti volessero approfondirne il percorso, si consiglia il volume I teatri di Margine Operativo, a cura di Andrea Pocosgnich, Editoria&Spettacolo, 2018, pp. 151, euro 16,00) con l’obiettivo principale di mettere a punto una ricerca artistica rigorosa e costante negli anni finalizzata a rendere vitale la relazione Teatro-polis e a disegnare un “agire mobile” dentro la comunità di appartenenza. Attraversare, allora, vuol dire superare qualsiasi confine e barriera, disporsi all’apertura verso l’altro, sperimentare linguaggi differenti che convivono, che si contaminano a vicenda. «Attraversamenti Multipli è un festival crossdisciplinare, senza reti di protezioni, senza check point, senza strutture che perimetrano l’area spettacolare», si legge nel programma.
Ed è effettivamente questa la sensazione che si ha non appena si arriva a Largo Spartaco nel quartiere romano del Quadraro (nel triennio 2017-2019 Margine Operativo ha scelto proprio il Quadraro come luogo in cui agire).
Chi scrive, ha seguito la serata inaugurale e quella finale nella capitale. Attraversamenti, infatti, nelle giornate del 5 e del 6 ottobre, ha poi viaggiato oltre i confini romani per spingersi a Toffia, in provincia di Rieti, confermando l’urgenza di un “nomadismo” culturale ed estetico senza frontiere e, però, al tempo stesso, con una ferma prospettiva di radicalizzazione nei territori “percorsi”.
Abitare Largo Spartaco e le strade limitrofe durante il Festival è un’esperienza unica: la piazza si popola di persone di ogni età attratte, sorprese, incuriosite dallo svolgersi degli eventi che accadono in mezzo a loro. Una comunità intera si riunisce e si incontra. Attraversament Multiplii è una pratica artistica e sociale “contaminante” e “relazionale”. Il pubblico è “meticcio”: c’è chi viene appositamente per vedere gli spettacoli; c’è chi vive quotidianamente Largo Spartaco, ma che negli anni ha conosciuto, interagito con il Festival; ci sono critici, studiosi, operatori teatrali e non solo; ci sono artisti, nazionali e internazionali, rappresentativi della danza e del teatro contemporanei (da Roberto Latini a Andrea Cosentino; da CollettivoCinetico a Kinkaleri; da Iván Benito a Ertza, solo per nominarne alcuni).
La piazza diventa un’agorà, una singolare “assemblea di cittadini” dove – in sintonia con la poetica di Margine Operativo – ciascuno è libero di scegliere, secondo il proprio particolare punto di vista e secondo il proprio interesse, a cosa partecipare e come. «Le visioni» – si legge sempre nel programma già citato, una sorta di “manuale” da leggere attentamente “prima dell’uso” – «diventano molteplici e le percezioni particolari. I fronti sono mutevoli e le sedute differenti».
Espressione concreta del significato profondo assunto dal Festival sin dalla sua creazione: «costruire ogni edizione di Attraversamenti Multipli… come un grande spettacolo, un’opera artistica multisfaccettata» (Alessandra Ferraro, in I teatri di Margine Operativo, op. cit., p. 25) che intende «… intercettare, …coinvolgere e … dialogare con pubblici diversi» (Pako Graziani, op. cit., p. 27). Tradotte in concreto, le due dichiarazioni riassumono alcuni aspetti fondamentali: la volontà di predisporsi all’apertura di codici artistici “eterogenei”; la necessità di agire in spazi pubblici e urbani per accorciare le distanze tra arte e vita; la determinazione di dissolvere i confini tra performer e spettatore.
Torniamo alle “sedute”. Quando si arriva a Largo Spartaco, l’infopoint di Margine Operativo è ben visibile. Sa, però, più di un posto in grado di accogliere le persone che di un “botteghino”. A volte si fanno biglietti per entrare, certo. Molto spesso, tuttavia, si accede liberamente all’area dedicata agli eventi. «Si può stare in piedi, seduti su sedie, muretti, per terra, affacciati dalle finestre, oppure da un’auto in sosta».

Foto di Chiara Cocchi

La serata che ha aperto il Festival, è stata particolarmente interessante. L’installazione audio-video Particles del collettivo FLxER Team e la performance Particles AV degli artisti romani IPOLOGICA hanno saputo interagire con gli spettatori e con l’ambiente urbano. Quelle “strane particelle dell’universo” – che hanno assunto le sembianze di forme geometriche proiettate sui palazzi di Largo Spartaco, mentre quegli stessi edifici erano abitati (dietro le finestre, non è stato inusuale vedere le sagome degli inquilini) – sono state animate dagli spettatori e dagli artisti insieme i quali – con l’uso delle mani e servendosi del controller Leap Motion – hanno ravvivato, con suggestive cascate di colori, le facciate pallide degli stabili.
Degni di nota anche i due spagnoli Iván Benito e la compagnia Ertza (selezionati con una call internazionale promossa dal progetto Contact Zones_Performing Arts in Urban Space supportato dall’Unione Europea nell’ambito di Creative Europe) che con i loro, rispettivi, Galàpago e Meeting Point hanno saputo affrontare la lotta per la sopravvivenza. Il primo, cercando di far passare attraverso il proprio corpo, magistralmente agito, domande sull’origine e sull’evoluzione della specie.

Foto di Chiara Cocchi
Foto di Chiara Cocchi

 

 

 

 

 

 

Ma anche sulla capacità dell’ambiente che abitiamo e che ci tiene in vita. È ancora abitare un contesto, dunque, il centro della riflessione. Quello stesso contesto a cui dobbiamo “abituarci” e con cui dobbiamo fare i conti per poter sopravvivere. Adattarsi è una via possibile? E se sì, come? Con la stessa forza di vivere, lottare e giocare che il performer trasferisce su quel manto duro di asfalto dove il suo trucco bianco scolorisce quasi a sancire una trasformazione. Un rito di passaggio che, per entrare in contatto con il mondo, richiede di infrangere le barriere personali e sociali. Il secondo, Meeting Point, narrando un incontro, uno di quei percorsi labirintici della vita che si intersecano e che occorre attraversare per ristabilire un dialogo, una relazione. Come i due protagonisti, entrambi brasiliani, i quali si ritrovano dopo aver viaggiato lungo 8000 chilometri. I due riescono a colmare, negli anni, una distanza apparentemente impossibile tra i rispettivi paesi di origine divisi da una enorme “pozzanghera”. Il progressivo sforzo del ricongiungimento, anche in questo caso, passa per i corpi dei danzatori che sanno dialogare in perfetta armonia, fondendo nella creazione coreografica la break dance, l’hip-hop e la danza contemporanea. Ne scaturisce una ricerca appassionata dentro la quale l’attenzione si focalizza a investigare le nostre radici e i nostri differenti percorsi di vita destinati a trasformare le nostre stesse esistenze. 

Foto di Simona Granati
Foto di Simona Granati

 

 

 

 

Foto di Simona Granati

Meduse Cyborg, una performace-spettacolo-talk di Margine Operativo, ha concluso Attraversamenti Multipli, almeno su Roma. Liberamente tratto dal terzo volume dell’edizione italiana di “Re-Search”, la più nota rivista cyberpunk californiana, la performer Claudia Vernier dà vita a un racconto corale di donne (musiciste, poetesse, intellettuali, artiste) impegnate ad aprire un dibattito sul ruolo della donna nella società capitalistica dove la difficoltà principale è quella di superare le differenze, di andare oltre il dualismo maschile-femminile, di immaginare un “corpo” libero di esprimersi e di aprire scorci verso possibili “migrazioni” sessuali e culturali in grado di difendere e di sostenere l’identità di ciascuno e di ciascuna. La regia di Pako Graziani e l’apporto del sound designer Dario Salvagnini costituiscono la solida impalcatura dentro la quale si muove l’eclettica Claudia Vernier. La sua voce, le sue canzoni, i suoi brevi monologhi gridati di fronte a noi spettatori, ci svegliano, come a pretendere una presa di posizione, una riflessione, su un presente che non può più essere diviso tra il bianco e il nero, il maschile e il femminile, il gay e l’etero, il privato e il politico. Sarà la nostra capacità di accettare la trasformazione inevitabile del mondo, a farci sopravvivere. E, allora, anche il mito di Medusa ha bisogno di essere riletto: “proteggere e custodire” è il significato del nome della più coraggiosa delle tre sorelle Gorgoni, la donna alla quale Athena concesse il potere di difendersi dagli uomini che osavano violarla.

Attraversamenti Multipli, Roma e Toffia (Rieti), dal 14 settembre al 6 ottobre 2019.