Orestes in Mosul. Un’interpretazione del reale molto distaccata di Maria Francesca Stancapiano

Milo Rau è l’esempio per il teatro contemporaneo della ricerca apportata con minuziosa cura. Infatti, il regista, giornalista, saggista e docente di teatro svizzero, cerca un teatro “reale” che provochi emozioni “reali”. Cerca la storia delle rappresentazioni e ne mette in scena eventi fittizi o no in grado di coinvolgere lo spettatore e generare empatia. Lo ha dimostrato con Hate Radio e The Congo Tribunal. In entrambi i lavori viene trattato il tema delle evoluzioni, non sempre positive, della geopolitica, attraverso l’indagine documentaristica (del Ruanda da una parte e del Congo dall’altra). E poi, ancora, con la trilogia The Civil Wars, The Dark Ages e Empire dove il tema dell’arroganza occidentale primeggia. Fino ad arrivare alla vicenda del pedofilo Marc Dutroux con Five easy pieces e The repetition, due lavori questi ultimi in cui la poetica del regista si evolve, passando dalla rappresentazione all’interpretazione.
Interpretazione che si manifesta palese nel suo ultimo lavoro Orestes in Mosul, una rilettura in chiave moderna, dell’Orestea (trilogia formata da Agamennone, Le Coefore e Le Eumenidi con cui Eschilo nel 485 a.c. vinse le “Grandi Dionisie”) che racconta gli ultimi anni di Mosul, l’antica Ninive, capitale dell’Impero Assiro. Nel giugno del 2014 la città cade in mano ai miliziani dello Stato Islamico che distruggono la moschea dedicata al profeta Giona; la Grande Moschea di al-Nuri; le millenarie mura di Ninive; i numerosi manoscritti e documenti di grande rilevanza storica della Biblioteca (una delle più antiche dell’Iraq) alcuni dei quali presenti in un elenco di testi rari stilato dall’UNESCO; e di numerose statue e reperti risalenti all’Impero Assiro conservati nel Museo della città.
Le notizie sugli accadimenti nella città occupata giungono per lo più da un blogger, Mosul Eye, pseudonimo di Omar Mohammed, che riuscirà a mantenere l’anonimato per tutta la durata dell’occupazione. A 35 km dalla città si trova la diga di Mosul, costruita negli Anni Ottanta, che controlla l’irrigazione del Governatorato di Ninive ed è considerata di importanza strategica per l’intero Iraq. Il 17 ottobre 2016, dopo più di due anni dalla cattura di Mosul Eye, ha inizio l’offensiva contro l’ISIS da parte dell’esercito iracheno e dei curdi peshmerga. Il 9 luglio 2017 il premier Haydar al-‘Abadi annuncia ufficialmente la riconquista di Mosul. Le vittime stimate per la battaglia di Mosul sono almeno 40.000.
Una premessa doverosa in quanto questo è il quadro storico della nuova trilogia in cui i 6 attori si muovono. Esattamente dopo il 2017, Milo Rau si è recato con la sua compagnia a Mosul e, insieme ad artisti locali, ha allestito Orestes nei luoghi emblematici di quella violenza. L’antichità dell’antichità, la biblica Ninive – agli occhi di Rau – contrapposta all’orrore del passato prossimo e del presente. Quell’esperienza rivive ora in scena, nello spettacolo che porta in tournée. Sul palco tre uomini e tre donne, attori iracheni che vivono in Europa e attori belgi; alle spalle, su un grande schermo, scorrono le immagini girate in Iraq con i testimoni che raccontano l’orrore.

 

 

 

 

 

 

Ai lati del palco, rispettivamente: alla sinistra un uomo suona Mad world, al centro un tappeto rosso su cui si ripeteranno azioni di morte e di violenza (come lo strangolamento di Ifigenia, di Agamennone, di Clitemnestra), a destra la riproduzione simile di un interno di un ristorante in Mosul dove gli stessi attori hanno girato la scena della cena al ritorno di Agamennone. Momento che possiamo visionare nei minimi dettagli (primi piani in particolare) grazie all’intervento di una telecamera che, poi, staccherà la ripresa per permettere un’azione in scena agita esclusivamente dai corpi degli attori. Sono diversi quadri che ripercorrono un orrore narrato attraverso dialoghi che i performer rivolgono a noi spettatori. Come si fa a evocare una tragedia umana che registra sangue e morti con distacco? Qui sta l’arte del regista: creare una scissione dalla realtà e interpretarla attraverso artifici cari alla sua poetica, già apprezzata nei suoi precedenti spettacoli. Sono riprese video “didascaliche” riproposte nella medesima situazione in tempo reale dagli attori, soltanto con un linguaggio diverso e un millesimo di secondo dopo. È questo a fare la differenza, è questo che crea il distacco e che consente una riflessione ancora più forte su quello che è la guerra. Pensiamo a una delle battute finali di uno degli attori. Ha in mano un cellulare e ci racconta che il reporter incontrato a Mosul ha inviato loro un video in cui sono riprese immagini di mera violenza durante un attacco. Ci racconta che si vedono cadaveri, morti, sgozzamenti. Ne sentiamo l’audio, certo non possiamo sincerarci se sia vero o meno. A un certo punto ferma la ripresa sul dispositivo che ha in mano e ammette che è tutto così affascinante perché surreale. Cosa vuole dirci esattamente? Che siamo abituati alle immagini di violenza? Che la nostra mente è sempre stata educata alla guerra? O, fondamentalmente, noi quella guerra non l’abbiamo mai vissuta e, dunque, ci sembra tutto così surreale, fantascientifico? Ecco: dalla alienazione, fino ad allora vissuta per quasi due ore, è come percepire un boato silente. I personaggi dell’Orestea cari a Rau sono principalmente Agamennone e Clitemnestra: il primo un guerriero che racconta con semplicità i crimini, le atrocità che ha commesso e che «oggi ne parlerebbe in modo diverso, del trauma affrontato per compiere il suo dovere» (note di regia). La seconda la donna che dà libero sfogo alle proprie passioni incurante di qualsiasi principio morale. Un modello di donna opposto a quello di Penelope, sposa di Ulisse, che aspetta il ritorno del marito mantenendosi a lui fedele. Una donna che lotta fino all’ultimo per il potere, emblema chiave della lettura del regista. A questo punto si evince che lo spettacolo di Milo Rau sia riuscito nel suo intento. Ed è così. Se non fosse, però, per la mancanza di azione nel complesso (a parte il quadro dedicato ad Agamennone). Si avvertono lentezza e ripetizione che inevitabilmente portano a non entrare appieno nel racconto. Siamo costantemente fuori dai vari quadri per i silenzi troppo lunghi o per le troppe emulazioni di strangolamenti che nemmeno ci scalfiscono e che, inevitabilmente, ammazzano anche parola e azione. Rimaniamo sospesi nell’incertezza di poterci addentrare effettivamente nel tema trattato: quello della guerra. Non riusciamo a prendere posizione nei confronti di nessun personaggio, quindi, non c’è compassione, nel senso più strettamente etimologico: provare un sentimento per il quale un individuo percepisce emozionalmente la sofferenza altrui. Forse il tutto è voluto per marcare il distacco? Onestamente, però, si percepisce un distacco a livello temporale troppo lungo che, spesso, conduce alla distrazione.

Orestes in Mosul

di Milo Rau & ensemble
basato su Orestea di Eschilo
con Duraid Abbas Ghaieb, Susana AbdulMajid, Elsie de Brauw, Risto Kübar, Johan Leysen, Bert Luppes, Marijke Pinoy.

In video

attori Baraa Ali, Khitam Idress, Khalid Rawi
musicisti Suleik Salim Al-Khabbaz, Saif Al-Taee, Firas Atraqchi, Nabeel Atraqchi, Zaidun Haitham, Rabee Nameer
coro Ahmed Abdul, Razzaq Hussein, Hatal Al-Hianey, Younis Anad Gabori, Mustafa Dargham, Abdallah Nawfal, Mohamed Saalim, Rayan Shihab Ahmed, Hassan Taha
regia Milo Rau
drammaturgia Stefan Bläske
scena ruimtevaarders
costumi An De Mol
light design Dennis Diels
film Moritz von Dungern, Daniel Demoustier
montaggio del film Joris Vertenten
arrangiamento musicale e composizione: Saskia Venegas Aernouts
assistente alla regia Katelijne Laevens
direttore di produzione Noemi Suarez Sanchez
direttore di palco Marijn Vlaeminck
produzione tecnica Oliver Houttekiet
suono: Dimitri Devos
tecnico video Stijn Pauwels
tecnico luci:Dennis Diels, Geert de Rodder
tecnico di scena Jeroen Vanhoutte
vestiario Nancy Colman, Micheline D’hertoge
assistente alla drammaturgia Eline Banken
secondo assistente alla regia Bo Alfaro Decreton
drammaturgia interna Liam Rees
creazione sottotitoli Eline Banken
scorrimento sottotitoli Katelijne Laevens, Noemi Suarez Sanchez
musiche Roland Orzabal: Mad World; Suleik Salim Al-Khabbaz & Harif Ma’ad: Ala Adhafi.

Romaeuropa Festival 2019, Teatro Argentina, dal 23 al 25 settembre 2019.