I “Segnali di fumo” di CastellinAria Intervista di Letizia Bernazza

Foto di Simone Galli

La Compagnia Habitas, formata da Livia Antonelli, Niccolò Matcovich e Chiara Aquaro nasce a Roma nel 2016. Il trio ha dato vita al Festival CastellinAria giunto quest’anno alla sua seconda edizione. Dal 3 al 10 agosto 2019, sarà – come lo scorso anno – il Castello Cantelmo di Alvito (FR) ad ospitare CastellinAria, che ha come obiettivo fondamentale quello di intessere un dialogo con il territorio per cercare non soltanto di valorizzarne la sua «natura antica e genuina», ma anche per «proporre un osservatorio aperto e privilegiato sui linguaggi performativi e sulle drammaturgie contemporanee lontano dai rumori della metropoli». Segnali di fumo è il titolo della ricca kermesse: «segnali che lanciano sogni. Segnali che diventano segni» per dare un valore autentico al significato comunitario del Teatro. Un Teatro che accende la fiamma viva della relazione con l’altro.

 

Come nasce CastellinAria?

Nasce per un tacito grido – se così si può dire, usando un ossimoro – del Castello di Alvito. Livia (Antonelli) e Niccolò (Matcovich) sono andati a visitarlo nell’estate del 2017 e si è creato un cortocircuito prima di tutto emotivo: il silenzio, la luce, il sole agostano e, non ultime, quelle mura imponenti che trasudano secoli di storia hanno fatto brillare i loro occhi e scatenare la fantasia. Habitas nasce come compagnia teatrale, dedicandosi quindi principalmente alla produzione di spettacoli con la specifica di lavorare soprattutto sulla drammaturgia contemporanea, quindi non era prevista l’ideazione di un Festival; ma tanto forte è stato il motore che, incoscienti, non abbiamo potuto sottrarci al progetto. La Valle di Comino è comunque un territorio ben noto a Livia, originaria di Casalvieri, un paese a pochi chilometri da Alvito. Un suo sogno è sempre stato quello di portare la propria idea di teatro nelle terre di origine; adesso quel sogno è concreto e facciamo di tutto perché sia anche lungimirante e duraturo.

 

Il titolo del Festival quest’anno è Segnali di fumo: esprime la vostra volontà di trovare un nuovo modo di comunicare? E qual è il significato della vostra dichiarazione: «Vogliamo tornare alla semplicità e all’efficacia delle origini per farci attraversare dalla contemporaneità»? 

Qui si intrecciano due discorsi, che corrono parallelamente.

Dal punto di vista del sistema teatrale, uno dei cardini di CastellinAria è la volontà di ospitare gli artisti nella massima tutela, cura e rispetto del loro lavoro; per questo motivo abbiamo attivato fin dall’anno scorso un discorso profondo e ragionato sull’”accoglienza”, anche perché come compagnia abbiamo vissuto tante situazioni simili, alcune molto belle, altre… disastrose. Accoglienza significa soprattutto garantire delle condizioni per cui valga la pena partecipare al Festival: un cachet (nei limiti delle nostre possibilità), il rimborso del viaggio, il vitto e l’alloggio per due notti, in modo da consentire loro sia di affrontare il viaggio con serenità, senza l’ansia di dover fare tutto (compresa l’andata in scena) in un giorno, sia di vivere almeno un’altra intera giornata di programmazione e confrontarsi e scambiare opinioni con gli altri artisti ospiti; la formula l’anno scorso ha portato a risultati bellissimi. I “segnali di fumo” vogliono quindi dimostrare, con l’umiltà che contraddistingue il progetto, che un sistema alternativo è possibile e, forse, necessario.

L’altro discorso riguarda invece la geografia, non solo fisica bensì di pensiero, che guida il nostro lavoro. Prima di organizzare la scorsa edizione, eccetto Livia, eravamo vergini rispetto a quel territorio. Oggi è come una seconda casa, un’oasi felice nella quale siamo orgogliosi di aver piantato parte delle nostre radici artistiche. In questo rientra la “chiamata” del castello di cui sopra, perché siamo ben consapevoli che a Roma, nostra terra di origine in cui viviamo e sviluppiamo gli spettacoli, non sarebbe mai nata un’idea simile. Roma bulimica, dispersiva, nevrotica non dà libero accesso a questi canali di “fantasia fattiva”. Lì invece, in un certo senso, tutto è possibile. Gli orizzonti si spalancano e, dove si fermano a causa delle montagne, è il paesaggio naturale a stimolare le idee. L’obiettivo è quindi quello di far confluire il teatro contemporaneo, declinato nelle sue tante e diverse forme, in un territorio per molti aspetti incontaminato ed estremamente accogliente, dov’è la “terra” a farla ancora da padrone.

Foto di Simone Galli

Che rapporto avete istituito con il territorio e con la comunità di Alvito?

Il passo immediatamente successivo al “fidanzamento” con il Castello di Alvito è stata la ricerca del dialogo con il territorio. La prima persona con cui ci siamo confrontati è stata Ivano Capocciama, regista, autore e drammaturgo di Alvito che lavora con il teatro, anche a livello di formazione nelle scuole, da tantissimi anni. Ha subito risposto con entusiasmo, sottolineando che in Valle di Comino non c’era mai stato un Festival di teatro professionale, e ha curato la direzione artistica della prima edizione insieme a noi. Il secondo passo è stato il confronto con l’amministrazione comunale, che con un atto di fede affatto scontato ha accolto e abbracciato fin da subito il progetto. Una volta ottenuta l’autorizzazione ad animare il castello per una settimana, abbiamo attivato il confronto con quante più realtà era possibile nella Valle di Comino, e non solo. In questo ci ha aiutati molto il fatto di essere “stranieri”, ospiti di una terra che ha delle proprie regole, cui gli autoctoni rispondono e di cui noi, invece, eravamo ignari. Questo ci ha permesso di dialogare con tutti, davvero tutti, senza pregiudizi o preconcetti, nonché di mettere in dialogo, in maniera spontanea e informale, realtà che altrimenti non si sarebbero mai incontrate. Quest’anno la “rete” si è infittita, allargando gli orizzonti geografici e ottenendo collaborazioni molto prestigiose, come ad esempio con l’Università degli Studi di Cassino. Non possiamo negare che un grande punto di forza del territorio sia la disponibilità al confronto: raramente abbiamo trovato porte sbarrate. Nella maggior parte dei casi, invece, abbiamo avvertito una grande curiosità, che spesso si è trasformata in disponibilità a una collaborazione attiva. E questo si è visto anche durante le serate della prima edizione, che per noi rappresentava un grande rischio e invece ha avuto un bellissimo riscontro da parte degli abitanti di Alvito e della Valle.

 

Credete che le persone del luogo abbiano la necessità del Teatro e, quindi, di accendere, come voi, «fuochi amici» e di creare quell’«evanescenza… che lancia segnali “in Aria”»?

Cento volte sì! E lo diciamo senza nessuna presunzione di “importare” il teatro lì, zona che tra l’altro il teatro lo conosce bene, grazie alla copiosa presenza di associazioni, compagnie, filodrammatiche nonché scuole di teatro locali. Lo diciamo perché, nel dialogo costante con il territorio di cui parlavamo sopra, più che la necessità abbiamo sentito proprio il desiderio, nonché la grande curiosità di vivere il teatro con un’esperienza come CastellinAria. L’altra dimostrazione è stata l’affluenza dell’anno scorso, che ha visto la presenza in sala di circa 130 persone a sera, con picchi di 250 persone e con alcuni valligiani che venivano appositamente ed esclusivamente per vedere lo spettacolo teatrale, forse neanche molto consapevoli che l’offerta del Festival (quest’anno ancora di più) fosse molto più ampia. Indimenticabile per noi l’esempio di una tenerissima coppia di anziani che è venuta tutte le sere senza perdersi neanche uno spettacolo e che, alla fine di ognuno, tornava da noi per darci un parere e per sapere cosa ci fosse la sera dopo. L’impegno che ci prendiamo quest’anno è di coinvolgere in maniera più continuativa anche i ragazzi del territorio, che l’anno scorso si sono affacciati timidamente pensando al teatro come a qualcosa di vecchio e noioso. Ma CastellinAria vuole scardinare anche questo pregiudizio, non solo con l’offerta di spettacoli pop, come recita il sottotitolo, quindi di grande qualità ma per tutti, bensì con un’offerta che vada ben al di là del teatro e si trasformi quindi in festa pop: musica live ogni sera, attività laboratoriali a cura di associazioni del territorio in orario aperitivo, giochi di tutti i tipi (l’anno scorso grande successo del biliardino gratis, che senz’altro replicheremo quest’anno), dj set verso mezzanotte per i più scalmanati, stand enogastronomici con le eccellenze del territorio… Peraltro, tranne ovviamente cibo e bevande, tutto a offerta libera.

 

I “segnali di fumo” che lanciate, possono diventare sogni? E, secondo voi, cos’è un sogno? Qualcosa che, in fondo, può diventare realtà?

CastellinAria, di per sé, è una grande bolla onirica. E con questo non vogliamo dire che sia fuori dalla realtà, perché anzi è ben radicato nella progettazione concreta; ma grazie ai tanti punti di forza che abbiamo scandagliato sopra è, a tutti gli effetti, un sogno a occhi aperti. Pensiamo tra l’altro, anche qui riportando parole di persone che l’hanno vissuto l’anno scorso, che non se ne possa cogliere l’essenza reale se non partecipando in prima persona durante i giorni di Festival. È un percorso lungo un anno che un gruppo di poche persone porta avanti con il solo obiettivo di allargare, aprire ed esplodere in una settimana densissima di emozioni in cui, grazie alla cura e all’attentissima offerta, si dà vita a una “comunità”. Comunità che non svanisce alla fine della manifestazione ma, al contrario, si rafforza e consolida nel tempo.

 

Quali sono le linee programmatiche e poetiche della seconda edizione di CastellinAria? Immagino ci sia una continuità con il Festival dello scorso anno: istituire un dialogo fattivo con le associazioni e con il territorio. Vale a dire creare una relazione con il paesaggio e con le persone in grado di accogliere il vostro progetto, che mette in comunicazione la vostra vocazione di dare voce alle differenti realtà del contesto socio-antropologico in cui operate e il Teatro, come mezzo per tendere all’integrazione e alla solidarietà umana.

Sì, è così. Con l’obiettivo specifico, nella ricerca di un’identità precisa, di convogliare in un unico grande contenitore le realtà locali e gli artisti che arrivano da tutta Italia, con la speranza di creare un contenuto che sia eterogeneo, plurale, misto, ma alla fine perfettamente amalgamato. Questo è il motivo per cui la programmazione artistica prevede l’alternarsi di realtà locali e realtà nazionali (anzi, quest’anno addirittura internazionali, grazie alla preziosissima collaborazione con PAV e in particolare il progetto Fabulamundi – Playwriting Europe, che ci permetterà di ospitare la compagnia Barletti/Waas dalla Germania), con uno scambio costante che intreccia teatro, musica e associazionismo. Una grande novità della seconda edizione, ad esempio, è che grazie al dialogo con le associazioni del territorio abbiamo creato gli “AperinAria”, quella fascia oraria che va dalle 19.00 alle 20.30 e che sarà animata dalle più disparate realtà del territorio con attività di ogni tipo: laboratori, spettacoli, musica, progetti sociali, rievocazioni storiche… Il tutto ulteriormente arricchito da diverse passeggiate e gite sempre a cura di realtà locali, che andranno invece ad animare le fasce diurne contestualmente ai due laboratori a cura di Dynamis (performance) e di Renata M. Molinari (drammaturgia).

 

Il Teatro è per voi, dunque, quell’”evanescenza”, che ancora oggi, ha il potere di lanciare dei segnali “in Aria”?

Sì, laddove per evanescenza intendiamo la capacità del teatro di essere un canale espressivo effimero eppure allo stesso tempo strutturale e duraturo, in grado di tracciare un solco profondo nell’individuo e forse, conseguentemente, nel tessuto sociale.